Anna

Dipingere i muri della cameretta: fai da te per principianti

Ecco a voi una breve guida per dipingere i muri della cameretta in maniera pratica, economica e fai da te, per principianti.

Era un tiepido maggio del 2021 e si avvicinava il primo compleanno di Eleanor, quando, presa da una folle voglia di dipingere la sua cameretta, mi ritrovai a sognare i paesaggi più fantasiosi e al contempo più difficili da realizzare. Ci volle poco per rendermi conto che tutte le immagini che passavo in rassegna sarebbero state impossibili da riprodurre per una come me, che di disegno, colori e vernici sapeva poco e ancor meno.

Quindi, armata di santa pazienza e tanta voglia di fare cominciai a studiare un’alternativa papabile alla mia incompetenza in materia e che soprattutto potessi fare “da me”.

Come scegliere i colori della cameretta

Partiamo dalle basi:

  • per dipingere le camerette dei bambini più piccoli, sono da preferire colori sui toni delicati e chiari, per non disturbare il sonno;
  • per dipingere le camerette dei bimbi in età prescolare si può osare con colori più vivaci ed intensi…

Benissimo, l’idea di una lussureggiante jungla venne immediatamente posticipata.

Pitturare la cameretta di un rosa pastello non era proprio nelle mie corde e pensando alla marea di giocattoli e pupazzi che avrebbero animato di confusione la stanza, preferivo un colore neutro, che si sposasse con il resto della casa e che svolgesse da sottofondo sui muri della cameretta.

Immaginavo che un domani, crescendo, di colori ne avremmo potuti aggiungere in quantità, insieme alla piccola. E quindi la mia scelta fu la perfetta via di mezzo tra il bianco ed il nero di casa…una bella scala di grigi come una piccola bozza fatta a matita su un foglio bianco, da trasformare negli anni a venire.

Materiale necessario per dipingere la cameretta

Ovviamente da neofita non mi restava che affidarmi all’addetto del reparto vernici, nella speranza che avesse avuto la giusta dose di pazienza nel seguire una vera imbranata armata di carta e penna. Quindi riporto in seguito ciò che infine finì nel carrello della spesa:

  • set di pennelli in varie misure
  • set con vaschetta e rullo
  • vernici ad acqua
  • pacco di guanti
  • scotch carta

Una volta a casa recuperai i volantini abbandonati da mesi, di quelli che prendi non per leggere le offerte ma perchè “possono sempre servire” in occasioni simili a questa. Rivestii il pavimento stile pachwork prima di iniziare nell’intento di dipingere i muri della cameretta. Altri arnesi vari furono: pezze, metro, gomma, matita e post-it.

Prima bozza

Prima di iniziare a pitturare la cameretta, mi adoperai rivestendo con lo scotch tutte le superfici che non dovevano entrare in contatto con la vernice, come le mostrine delle porte, gli interruttori ed i battiscopa. Una volta prese le misure per i fori delle mensole, ne tracciai la sagoma per disegnare delle nuvole intorno ad esse in modo che le mensole restassero all’interno della nuvola stessa. Infine tracciai a matita l’intero paesaggio.

Con i post-it sopra citati, organizzai la pittura in modo tale che i tre tipi di grigio si alternassero sempre tra di loro; infine abbandonai i post-it perchè neanche le foglie secche al vento cadono così velocemente e decisi di scrivere direttamente sul muro… Una volta delimitati gli spazi da colorare, sempre con l’aiuto dello scotch ero pronta per l’impresa.

Dunque, prima di procedere fu importante leggere i tempi di asciugatura e le esatte tempistiche per procedere tra la prima e la seconda mano.

Tutto il lavoro si concluse in tre giorni.

cameretta fai da te
paesaggio fai da te in cameretta
come pitturare la camera dei bambini, fai da te

Ci vollero tre giorni interminabili per dipingere i muri della cameretta, fatti di stanchezza, colori e poppate.

Ma anche soddisfazione e gioia per essere riuscita in qualcosa che non credevo realizzabile.

paesaggio cameretta fai da te

Passai in rassegna su Amazon tutto l’arredo possibile per rendere accogliente il piccolo mondo di mia figlia.

E da lì…con un tappeto, una tenda per bambini, poltroncine e vari pouf…riuscii nel mio intento.

Per concludere…seguì una serie infinita di ricerche, speranzosa di trovare un lettino montessoriano che non richiedesse l’accensione di un mutuo…

Tutte si rivelarono ovviamente infruttuose…e completai la cameretta con un letto montessoriano sì, ma sempre “fai da me”, ormai c’avevo preso la mano!

dipingere alberi in cameretta
arredo cameretta
letto montessoriano fai da te con pallet

Vi lascio il link per il tappeto, talmente comodo che ne ho acquistati due. Pratico e igenico, si lava direttamente in lavatrice. Per quanto riguarda la tenda invece ho fatto una rapida ricerca e trovato un’ottima alternativa alla mia che purtroppo non è più disponibile.

Piaciuta l’idea? Fateci sapere cosa ne pensate!

Vi aspettiamo sulle nostre pagine social, con tante altre idee! Cliccate sui link e lasciate un segui per rimanere aggiornati.

Dipingere i muri della cameretta: fai da te per principianti Leggi tutto »

I bambini nel mondo del calcio

Il calcio non è solo uno sport

Il calcio è lo sport più popolare in assoluto. Attraverso uno studio condotto nel 2022, una società di consulenza sportiva, denominata Tifosy, ha stilato una classifica degli sport più seguiti nel mondo.

Nella top ten, al primo posto, non può che esserci proprio il calcio. Conta 3,5 miliardi di appassionati e circa 250.000 giocatori. https://sport.sky.it/calcio/2022/04/05/sport-piu-popolari-mondo-classifica#03

Coinvolge intere generazioni, indistintamente dai più piccini, ai più anziani, dagli uomini alle donne.

Me compresa. Amo e seguo questo sport fin dalla tenera età, grazie alla passione per il Milan trasmessami da mio papà.

Stessa passione che io e mio marito abbiamo benevolmente instillato in nostro figlio.

Prima partita di campionato delle piccole “furie rosse”

Sabato 28.10.2023 è finalmente iniziato il II campionato di calcio, della classe 2016/2017 dei bambini dellASD Roman 91.

Ho visto alcuni di loro esordire in una vera e propria partita. Ne ho visti altri trepidanti di ricominciare.

E’ stata una partita dinamica e divertente. I bambini sono stati un gruppo coeso e complice, attento e disciplinato.

Hanno esultato a ogni gol fatto, discretamente come è sempre stato per loro indole. Non hanno imitato l’esultanza di un idolo di serie A, hanno sorriso e si sono abbracciati l’un ‘altro. Non c’è stato individualismo, ma gioco e gioia condivisa di squadra.

Sono stata fiera di mio figlio, come dei suoi compagni. Perché nella loro innocenza di bambini partecipi di uno sport come il calcio, sebbene a livello amatoriale, hanno dato espressione di rigoroso rispetto verso la disciplina, i compagni, i mister e gli avversari.

Mi sono sentita fiera di mio figlio, intendiamoci, non solo quel giorno.

Non è stata di certo la prima volta, ma ho come avuto la sensazione che il mio bambino, stia cominciando a fraternizzare con il mondo degli adulti.

Mi è sembrato che stia interiorizzando, a suo modo, che anche il calcio, come la vita in generale, proponga delle sfide da superare.

Tecnicamente e stilisticamente parlando, non posso dire sia stato impeccabile, ma l’ho visto forse per la prima volta, entrare nell’ottica del gioco di squadra. Sentirsi anche soddisfatto di sé stesso e dell’impegno speso.

Bambino che gioca a pallone

Mai riversare le proprie aspettative sui propri figli

Ho visto bambini di 6/7 anni aggrottare la fronte o ridere per il nervosismo, piangere per un passaggio sbagliato o un gol mancato. Beh quelle piccole reazioni non sono segni di debolezza, non si tratta di mancanza di controllo sulle sensazioni.

Ciò che per non adulti sembra una banalità, per loro può esser un’impresa. Impareranno a tollerare la frustrazione, bisogna solo accompagnarli in questo. A volte inconsciamente, siamo proprio noi genitori ad avere alte aspettative, che riversiamo su di loro, senza accorgerci che vorremmo fossero il nostro esatto riflesso. Dobbiamo imparare prima di tutto noi adulti a distinguere i nostri figli da noi stessi.

I bambini sono pur sempre bambini

Un giorno una persona disse: “siamo tutti bravi dal divano” nel senso che, è facile guardare una partita da fuori e esprimere giudizi in merito, su come debba essere gestita un’azione o come fare quel passaggio, diverso è stare in campo.

Soprattutto se, sotto a quei completini amaranto, ci sono i nostri bambini, quegli stessi bambini che aspettano la mattina del 25 dicembre per scartare i regali portati da Babbo Natale o preparano latte e biscotti per la Befana la sera del 5 Gennaio. Sono gli stessi che ridono di gioia e piangono per il dispiacere di essersi comportati male.

Diamo loro il tempo di crescere, diamo loro il tempo di familiarizzare con le sconfitte, i momenti di pressione, aiutiamoli a gestire il disagio, senza pretendere che tutti riescano negli stessi tempi.

Obiettivo dello sport

Non sappiamo se alcuni, uno o nessuno, farà di questo sport una professione, o resterà solo un amatissimo hobby, ma sta a noi genitori e ai mister, il compito più importante, l’educazione al rispetto.

Il pluripremiato e per l’ottava volta “pallone d’oro”, Lionel Messi, una volta disse:

“Mi preoccupo più di essere una brava persona che il migliore giocatore al mondo”

Questo significa che invece di pretendere che diventino chissà quali fenomeni del calcio, dobbiamo educarli prima di tutto affinché diventino degli uomini di valore fuori dal campo. Perché sarà attraverso quelle qualità che sapranno essere gli uomini di domani.

La ASDRoman 91 insegna questo, i mister ne sono un esempio. Sono uomini, papà, “insegnanti” di vita e di gioco, fuori e dentro il campo.

Non è sempre facile per loro, anzi, il più delle volte non lo è affatto. Se noi genitori con uno, due figli o più, arriviamo stremati la sera, dopo una giornata di lavoro e i vari impegni quotidiani, immaginate per i mister, quanto possa essere ancor più faticoso, dover gestire 10/15 bambini durante un allenamento.

Per cui siamone riconoscenti. Diamo loro fiducia, perché se è vero che nessuno meglio del genitore conosce il proprio figlio, è altrettanto vero che nessuno meglio dell’allenatore, conosce la propria squadra.

Riporto lo stralcio di un articolo molto profondo ed esplicativo di quello che è la cultura calcistica sportiva:

Il calcio non è solo movimento. E’ educazione, rispetto, cultura, valori, benessere,

Stare insieme, condividere. E’ accettare i propri limiti, è valorizzare la proprie risorse, collaborare, mettersi alla prova.

Saper essere autocritici, porsi degli obiettivi da raggiungere e condividere.

E’ amicizia. fratellanza, sana competizione.

Insegna a gioire della vittoria e ad accettare l’amarezza della sconfitta.

A cadere per poi rialzarsi, insegna a vivere le emozioni.

I bambini nel mondo del calcio Leggi tutto »

Allattamento: consigli pratici per affrontarlo e superarlo al meglio

“Avrai allattato a sufficienza? Ma si è attaccata solo per cinque minuti? La piccola piange! Ma avrà fame!”??

E ancora ..

“Ma ti ha scambiato per un ciuccio?” ..

Mamma, se osservi il tuo bambino/ la tua bambina ti dirà esattamente cosa fare e tu saprai come farlo.
Lascia fluire il tuo istinto e tieni fuori il resto del mondo”.

Sono arrivata a questa conclusione dopo mesi di osservazioni, sbagli, momenti di sconforto e tentativi di miglioramento.

Come affrontare il dolore dell’allattamento

Ho allattato la piccola Eleanor per otto mesi e mezzo. Ho iniziato disperandomi dal dolore e finito piangendo per il “distacco”.

E’ stata una fase davvero dura e il primo mese non riuscivo a capacitarmi di come avrei potuto proseguire, senza dover passare all’allattamento artificiale. Ma volevo tentare con tutte le mie forze. Ciò che più’ mi faceva stare male era proprio il dolore.

A nulla valsero tutti gli accorgimenti preparto.

La preparazione del seno con creme, misture e impacchi vari, tanto meno nel post… l’unica salvezza arrivò grazie al consiglio di una farmacista…e alla strameritata connettivina .

(Ovviamente questa è solo la mia esperienza personale. Qualsiasi necessità abbiate, parlatene prima con il vostro medico/ginecologo di fiducia.)

Questa miracolosa crema, chiudendo le ferite, fece sì che l’esperienza di allattare mia figlia, si trasformasse dall’incubo che avevo vissuto fino a quel momento, al processo più intimo ed entusiasmante della nostra vita insieme.

Per meglio dire, la connettivina riuscì a placare esclusivamente il dolore provocato dai tagli e gli arrossamenti dei capezzoli.

Ci volle più tempo invece, affinché il mio seno dolorante, per l’essere passato da una seconda scarsa ad una quarta abbondante, si abituasse a quella nuova funzione di “latteria a km zero”.

La durata delle poppate

Mi ritrovai, ad un certo punto, su google, a cercare la durata di ogni poppata…eppure tra le miriadi di articoli, pochissimi citavano il mio stesso caso, quindi mi aggiungo a quegli stessi che ho letto, cercando di essere di conforto a chi come me si è ritrovato ad affrontare un allattamento intermittente.

Nella maggior parte dei casi si sente di neonati attaccati al seno per 20/40 minuti e intervalli tra una poppata e l’altra di 3/4 ore.

Ovviamente non era questo il mio caso.

Mia figlia poppava per 4 minuti cronometrati, ogni 2 ore.

Spesso da un solo seno.

E così mi ritrovavo quasi costantemente ad essere una caricatura di me stessa.

Vista di profilo: da un lato assumevo la “linearità” di una tavola da surf, dall’altro un’adorabile figura florida.

Inutile dire quale delle “due me” apprezzassi di più, eppure, nonostante l’abbondanza, quella quarta di reggiseno risultava essere poco piacevole, vista la tensione e il dolore mammario.

Allattamento esclusivo

Ausili e dispositivi per l’allattamento

  • Tiralatte.

Tra i più conosciuti e moderni troviamo i tiralatte. Devo ammettere che anche quelli dei marchi più blasonati sono stati per me “strumenti di tortura”. Sono quasi certa che la maggior parte del dolore iniziale sia stato causato proprio dall’uso smodato o più probabilmente scorretto di questo dispositivo..

  • Ventosa raccogli latte.

Tutto cambiò quando scoprii la ventosa raccogli latte. Non ha nessuna trazione meccanica, pertanto non provoca dolore e soprattutto funziona tramite una naturale azione di sottovuoto. Mi spiego meglio: basta attaccarla al seno tramite l’effetto ventosa (dato dalla conformazione stessa del prodotto) e il latte fuoriesce e si raccoglie all’interno del flacone di silicone medico, con sollievo e senza alcun dolore.

Ovviamente ci sono dei modi per conservare il latte materno ma vi consiglio di affidarvi sempre a siti aggiornati e autorevoli.

  • Coppette assorbi-latte.

L’unico ausilio per l’allattamento che ho provato in diverse marchi e composizioni (organiche e non), che proprio non ha soddisfatto le mie aspettative, sono state le coppette assorbi-latte. Di certo assorbivano, alcune più, altre meno, questa l’unica utilità accertata. Ma tutte avevano lo stesso identico difetto…che fossero in materiale organico, lavabili o usa e getta, tutte e dico tutte si incollavano al seno stile cerotto…inutile soffermarsi a spiegare il dolore. Sarei molto contenta se qualcuna di voi lettrici ne suggerisse di una marca valida.

Ora che ho descritto la mia esperienza positiva e non, dei vari dispositivi meccanici, utili o meno, mi soffermerò sugli “strumenti di tortura” astratti, che ritengo i peggiori in assoluto: le parole. Quelle si che fanno male se usate senza riflettere o ancor peggio, quando vengono pronunciate per il solo piacere di ferire.

I consigli non richiesti

Non si può spiegare ad una mamma cosa fare col proprio bambino, tanto meno criticare cosa stia facendo e come abbia scelto di farlo. Anche se, quella persona in vena di giudizio, ha letto “l’arte dell’allattamento” o ha allattato 10/20/30 anni prima, né tanto meno se si avvale della conoscenza delle più moderne teorie scientifiche. Non basta.

Superficialità, questa è bandita.

Delicatezza, questa si che è apprezzata.

Mamma e bambino devono conoscersi con spontaneità e naturalezza.

Bisogna concedergli tempo.

Senza interruzioni, manovre o tentativi vari, perché estranee invasioni di campo andrebbero a compromettere quanto di più naturale esiste al mondo: l’esperienza di una crescita spontanea e unica, per entrambi.

Ci vogliono suggerimenti e aiuti, questi non dovrebbero mai mancare.

Non sono ammissibili invece, intromissioni o ancor peggio battute di cattivo gusto.

Mamma e bambino  apprendono sbagliando, tentando.

Tutti i loro sforzi  tendono ad acquistare quello sperato stato di grazia interna.

Sono tutti protesi verso questo scopo.

Essere sereni.

Il neonato impara ad alimentarsi e la mamma a nutrirlo”.

Come vedete non c’è una virgola ma un “e” tra le due locuzioni. Vuol dire che lo fanno insieme. Contemporaneamente, si aiutano, comunicano.  E tutto avviene nel piccolo, intimo mondo fatto da entrambi.

Ci vuole tempo, solo tempo, pazienza e spirito di osservazione.

 Ci vuole delicatezza, mi ripeto, ma questa è spesso sconosciuta.

Si potrebbe stare lì, volendo, ad osservarli e consigliare, se la mamma vuole, perché no. Ma sono dell’idea che gli spazi, anche da semplici spettatori muti, non vadano occupati, se non è espressamente richiesto.  

Le frasi da non dire

Ed infine ma non per ultimo: le labbra, sarebbero da schiudere solo se ciò che si vuole dire, sia davvero di sostegno, aiuto e conforto.

Faccio degli esempi che vanno ad aggiungersi a quelli iniziali:

  • “Ha mangiato?
  • Ma sei sicura sia sazio/a?”
  • “Hai abbastanza latte?
  • Quanto è cresciuto/a?”
  • “Non è che hai mangiato qualcosa che non dovevi e gli/le ha dato fastidio?”
  • “Ma piange!
  • Ha ancora fame!”
  • “Sei sicura di avere ancora il latte?

(Quel “sei sicura”…ma quando mai una mamma si sente sicura?)

E l’ultima domanda, la peggiore di tutte, la più ricorrente. Come infilare un coltello in una piaga dolorante. Quella mamma le sta tentando tutte. Sta tentando di capirci qualcosa, di dare una risposta alle richieste non verbali di un neonato, di tollerare il dolore, di non cedere passando all’artificiale…

Ci sono volumi enormi sull’allattamento, studi, ricerche di luminari, scienziati, insigni dottori…e tutto ciò che alcune persone riescono a dire sono queste esatte frasi!

Ciò che è peggio è che fanno più rumore queste stesse parole che i tanti scritti scientifici in merito!

Ripeto ancora una volta: “Sei sicura?”

“No, ma ci sto provando davvero con tutte le mie forze”.

E’ un momento intimo, quello dell’allattamento. Mamma e bambino stanno imparando, abbiatene riguardo. Non siate d’intralcio, ma di aiuto e sostegno! Sono entrambi appena nati, ci vuole delicatezza e parole misurate.

Latte di mamma o artificiale

Il latte può arrivare come non, e ci sono molte varianti in gioco impossibili da approfondire in questa unica sede.

E’ la naturalità e se non si riesce ad iniziare o finalizzare un allattamento esclusivo, allora ben venga l’artificiale. Ricordiamo sempre che il fine per una mamma è stare bene. Mamma serena, figlio sereno.

Questo conta, null’altro. Quindi non è migliore una mamma che allatta al seno, non è più brava. Né il contrario. Qualsiasi sia il percorso intrapreso dalla mamma, che sia un allattamento esclusivo o artificiale, quello che le persone all’esterno del binomio madre-figlio dovrebbero fare è supportare.

 Perché il più delle volte sono proprio quelle frasi inutili a frenare e creare convinzioni controproducenti in una mamma appena nata e troppo fragile. Si, troppo fragile. Perché suo figlio si sveglia ogni due ore. Dorme notti frammentate ad intervalli di quaranta minuti. Di conseguenza, una frase sragionata, detta tanto per riempire il silenzio, la potrebbe buttare giù in un secondo.

Perché per suo figlio farebbe di tutto, ma per se stessa no.

In quell’immediato post parto inserisce il pilota automatico.

Non ce la fa, non sa difendersi, va’ avanti per inerzia e per l’inerzia di stupide parole potrebbe sprofondare.  

La neo-mamma e il neo-nato

Pensiamoci un attimo.

 Col neonato ci muoviamo lentamente, lo manovriamo con cura, accortezza.

E’ un esserino appena venuto alla luce, quindi siamo attenti, preoccupati, impauriti ed impacciati.

La stessa cosa dovrebbe accadere nei confronti della neomamma. Si dovrebbero soppesare parole ed azioni. Perché anch’essa è delicata. Ha portato con se un’altra vita, ed ora si sente svuotata ma con una nuova vita da accudire senza avere la minima idea di come fare.  

“Come tenere in equilibrio un castello di sabbia tra le dita” mi disse mio marito con nostra figlia di 3 giorni tra le braccia.

Una neomamma ha impiegato nove mesi per mettere al mondo un essere umano pronto alla vita. Può davvero impiegare solo un giorno per ritornare alla normalità? No. Deve affrontare un cammino più tortuoso, suo malgrado. Se solo qualcuna le dicesse che sa già tutto! Che sente già in se cosa è giusto per la sua creatura e cosa non lo è!

Se solo non si lasciasse trasportare dalle varie “perle di poca saggezza” altrui!

Allora si che saprebbe far fronte al senso di inadeguatezza che talune parole le insinuano nella mente! Perché questo avviene, inconsciamente ed  inconsapevolmente.

Quindi, da mamme a mamme, quando affrontiamo determinati argomenti con una neo-mamma ricordiamoci di essere accorte e di quanta dolcezza e cura abbia bisogno. Aiutiamoci, non abituiamoci.

E tu mamma che leggi ricorda che non sei sola. Non possiamo cercarti, ma speriamo tu possa trovarci, rispecchiarti e trovare conforto nelle nostre parole.

Se sei appena approdata sul nostro blog ci presentiamo qui.

Allattamento: consigli pratici per affrontarlo e superarlo al meglio Leggi tutto »

I capricci dei bambini

“S.o.s. carta igienica”

Li chiamano “the terrible two” il momento tanto temuto, in cui ha inizio la sconfinata serie di capricci dei bambini.

Credo che mio figlio abbia cominciato a familiarizzare con questo approccio alla vita, intorno ai 2 anni e 4 mesi. Naturalmente fino a quel momento non era stato un puttino dalle ali dorate per carità, ma non posso non ammettere che fosse un bambino calmo. Ultime parole famose … Ma ora vi racconto tutto!
Era un tiepido pomeriggio di fine estate quando mi accorsi che in casa era scattata l’allerta rossa, quella che
se vai in bagno, non hai con che asciugarti. La così da me chiamata: S.O.S. carta igienica e non solo!

Mancavano all’appello ogni tipo e sottotipo di carta.
Quella igienica, fazzolettini per soffiare il naso, tovaglioli, carta scottex che pure se ruvida, all’occorrenza, va sempre bene. Non c’erano nemmeno le salviettine umidificate, quelle talmente umidificate, che non solo non puliscono abbastanza, ma lasciano pure il sapone sulle mani, conferendo alla pelle, quella sensazione di appiccicoso che insieme allo sporco, fanno un fritto di misto di indecenza. Niente di niente. Finito tutto. Esaurito.

Provai a rovistare nello zaino, con la speranza di trovare qualcosa di vagamente simile che potesse tamponare momentaneamente, la mancanza di un bene di prima necessità, come sua maestà la carta igienica. I miei occhi s’illuminarono quando in fondo alla borsa di “mamma poppins”, tra giocattoli, caramelle, e un altro milione e mezzo di cose dalla dubbia utilità, scorsi la scritta “Tempo”. I miei occhi s’inumidirono, mentre immaginavo che il mio bambino da un momento all’altro mi dicesse, : “mamma mi scappa la cacca” ed io avrei avuto uno “strumento” per garantirgli, prima di fare il bidet, una sommaria igiene intima .. purtroppo, era solo l’involucro dei fantomatici fazzolettini “tempo”. “Tristezza per favore vai via, non aver la mania, di abitare con me” cantai sconfortata insieme alla Vanoni tra me e me.

Lampo di genio

“Ho il supermercato a tre minuti a piedi da casa, per cui prendo il bambino e facciamo una passeggiata”, poi in tempo di covid, (perché quello era il periodo) non potendo fare nulla, l’aspirazione massima era fare spesa.
Per cui trovai la mia idea piuttosto geniale. Pochi minuti dopo, trovai la mia idea piuttosto poco geniale.
Decisi saggiamente che non avevo bisogno del passeggino, né tanto meno del carrello, una volta arrivata al supermercato.

“Tanto devo prendere giusto due cose”. Illusa.
Carta igienica, tovaglioli, fazzolettini, salviettine umidificate. Oddio ma era finita pure l’acqua naturale per
lui, no non si poteva soprassedere. “Mamma mi compri le caramelle che mangia papà!”

“e va bene, compriamo pure le caramelle”.
Le famose due cose in pratica.
Arrivai in cassa sotto la spesa, come se la spesa portasse me e non il contrario.
Con guizzo felino lanciai tutto sul rullo. Gesto che fece storcere il naso alla cassiera poco avvezza alle “mamme polipo“,

quelle che con un movimento circolare di tentacoli infilano pure i figli nella busta della
spesa, e non vengono amate particolarmente, perché sanno di pappe, fazzolettini sporchi e vomitini tra i capelli.
Chiusa la porta scorrevole del supermercato, scoppiò la terza guerra mondiale. Il fautore di cotanta ribellione, fracasso, urla e gesti inconsulti, fu nientepopodimenoche…

mio figlio.
Con la mano sinistra cercavo di tenere la cassa d’acqua.

Sull’avambraccio, a ridosso della piega provavo a tenere la busta, pregando che il colorito bluastro che intravedevo non fosse l’inizio di una cianosi.
Con la destra tenevo per mano mio figlio che si divincolava, saltava, roteava su sé stesso come Taz il diavolo della Tasmania.

La richiesta, per non dire la pretesa era quella di tenere in una manina le caramelle,
nell’altra, sotto il braccio come fosse una baguette francese, il pacco di carta igienica da 12 rotoli in offerta, senza ovviamente, tenermi la mano.
Provate ad immaginare la scena.
Dolcemente provavo a spiegargli che sarebbe stato opportuno che almeno il pacco di carta igienica da mezzo metro, fosse riposto nella busta della spesa, quelle ovviamente biodegradabili, quelle che
ovviamente a ogni minima oscillazione, creano crateri da cui escono tutti i contenuti della busta stessa.
Beh, i 240 metri percorribili in 3 minuti che separano casa dal supermercato,

diventarono gli 800 km che ci vogliono per compiere tutto il “Cammino di Santiago de Compostela”.
Più gli parlavo dolcemente cercando in vano di tenerlo per mano, più lui gridava e si divincolava.
Intanto il pacco di carta igienica cadeva, e appresso le caramelle, e poi anche lui ovviamente.
“Oddio c’è il Covid”, e allora prendi le salviettine appena comprate,

mettici su mezzo litro di amuchina,
disinfetta mani del bambino, caramelle del bambino e carta igienica che teneva in mano il bambino.
Intanto la diatriba continuava. Lui urlava.

Io cercavo di mantenere la compostezza e un tono vagamente
calmo.

Mi trovavo in mezzo alla strada e avevo gli occhi puntati addosso da ogni passante.

Ebbi la sensazione che il mondo intorno a me si fosse fermato per godersi lo spettacolo. Come quelle scene di film in slow motion,

in cui vedi l’orrore sui volti dei figuranti palesarsi in tutta la sua crudeltà.

Guardavano me con fare interrogatorio con la faccia di chi si domanda che razza di madre sia, una che permette al figlio tanti capricci.
Guardavano lui quasi inorriditi per un simile comportamento.

E io mi sentivo imbarazzata e incompresa.
Inerme e giudicata, per me e per lui.

Avrei desiderato che le persone non mi guardassero con fare accusatorio,

che non mi facessero sentire addirittura più piccola di mio figlio.
Avrei desiderato ricevere un’occhiata di intendimento e che la donna, probabilmente anche lei mamma, che incrociammo,

non mi guardasse con gli occhi fuori
dalle orbite storcendo il naso,

ma che provasse solidarietà,

che mi rivolgesse un cenno di complicità difronte a situazioni come quella,

che solo le mamme possono comprendere, o che dovrebbero perlomeno.

Come affrontare i capricci dei bambini

Quando tornammo a casa non mi vergogno a dire che ero arrabbiatissima.

Da una parte mi sentivo
incapace per non essere stata in grado di stroncare sul nascere tutti quei capricci.
Dall’altra mi sentivo in colpa per lui,
perché credo esista sempre un comportamento alternativo da adottare in momenti simili e io avrei dovuto
capire quale fosse.
Dietro l’atteggiamento capriccioso di un bambino si cela sempre una spiegazione, che il più delle volte, si può ricondurre alle aspettative di noi genitori.
In quel momento avrei dovuto valutare le priorità. In casa c’era dell’acqua frizzante, non avrei arrecato chissà quale danno a mio figlio se gliene avessi fatta bere un pochino, chiedendo a mio marito di comprare quella
naturale per lui, appena uscito dal lavoro.
Mio figlio voleva sentirsi semplicemente utile. Mi disse “mamma io sono gande,

pos-so pottare la catta genica”.

E in realtà avrebbe potuto farlo se io avessi creduto in lui.
Con ciò non sto dicendo che vige la regola del “facciamo decidere loro, facendoci mettere i piedi in testa”.
Assolutamente.

Il più delle volte però, non ci rendiamo conto che ogni nostra azione si riflette sul
comportamento dei nostri figli e se noi rappresentiamo dei modelli per loro, lo siamo in ogni forma, anche
nel caso specifico, nel portare una piccola busta della spesa.
Di lì in poi, ho capito quanto fosse importante coinvolgerlo in ogni attività e quanto fosse più producente
farlo sentire “utile alla causa”.
Raccontai il fatto a mia sorella.

Saggiamente mi consigliò di renderlo partecipe nel nostro quotidiano e di preparare una sacchetta appositamente per lui, dove avrebbe riposto

“le sue cose necessarie da acquistare”.

Dal quel momento in poi ogni volta che andavamo al supermercato che fosse per “solo due cose” o per la spesa grossa, lui portava con sé questa “magica sacchetta”, che teneva gelosamente sulla spalla e che assolveva a diverse funzioni “salva nervi”:

  • Permette di riporre ciò di cui il piccolo necessita
  • Lo tiene occupato il tempo necessario,
  • Previene ogni eventuale o possibile presa di posizione
  • Evita il verificarsi di una quarta guerra mondiale, perché la terza la fece scoppiare mio figlio in quell’episodio.

Per cui, se vostro figlio dovesse fare i super capricci e vi incrociassi per strada, vi garantisco che non vi giudicherei, né vi guarderei in malo modo esprimendo la mia disapprovazione.

Al contrario, vi offrirei un sorriso di conforto, perché non c’è niente di più importante della solidarietà e della complicità tra mamme.

I capricci dei bambini Leggi tutto »

Allattamento e svezzamento

Storia di uno sfinimento

Allattere e accudire

Non è un caso che siamo riuscite a rimare perfettamente le parole allattamento e svezzamento, con quella
di sfinimento. Va da sé che, se volessimo aggiungerne un’altra, per completare l’en plein, una frase
altrettanto in rima sarebbe:

“… allattamento e svezzamento

storia di uno sfinimento
che porta inevitabilmente all’esaurimento”.

Allattamento, primi giorni
Allattamento esclusivo
Allattamento e sfinimento

Faccia schifata di un bambino che inizia lo svezzamento

faccia felice di un bambino che inizia lo sevzzamento

svezzamento, primi passi

Alcune di voi potrebbero pensare, “se vi sentite così sfinite e/o esaurite che l’avete fatti a fare i figli?”,
oppure , “c’avete pure creato un blog per mamme?” (https://essenzamamma.it/perche-un-blog-per-mamme/ )

Ebbene sì, siamo sempre le “mamme con la crocca in testa” a cui piace raccontarsi in maniera semplicemente vera. (https://essenzamamma.it/chi-siamo/ )
Ovviamente prima di diventare entrambe mamme, non avevamo idea che a volte ci saremmo sentite un
po’ esaurite, un po’ nevrotiche, e altre volte talmente tanto elettriche, che per il nervosismo, se avessero
acceso una miccia, avremmo potuto prendere fuoco.

L’allattamento con latte materno o artificiale e il successivo svezzamento non sono stati semplici da affrontare, dobbiamo essere oneste.
In ogni caso però, la seconda cicogna è già arrivata per una, e per l’altra è in viaggio,
quindi si fa mamme, li allattiamo e svezziamo comunque sti bambini. Magari anche con il vomitino tra i capelli che fa da gel o che si raccoglie negli antiestetici reggi seni dell’allattamento e fa da sparti traffico ai seni.
Inizialmente però, non è stato facile. I seni dolevano. Le ragadi aumentavano. Le perdite di sangue provocate dai
tagli sui capezzoli erano diventate una costante. Abbiamo compreso il dolore provocato dalla mastite
puerperale
. Maledetto i nostri capezzoli retrattili perché di assolvere al loro dovere, proprio non
ne volevano sapere. Ci siamo armate di santa pazienza e provato l’inverosimile: le coppette di
silicone e d’argento, le conchiglie raccogli latte, il tira latte e le ventose
di ultima generazione per non
stressare troppo i capezzoli e un altro milione e mezzo di strumentari e metodologie varie, tutte
riconducibili all’unica cosa necessaria, “aprire la latteria”.
C’è voluto un po’ di tempo prima di capire come si facesse, perché, come è vero che se si poggia il figlio
appena nato sul petto della mamma e che questi per istinto primordiale trovi il seno, è altrettanto vero
che una donna può inizialmente non sentirsi capace di assolvere all’atto in sé, o comunque riscontrare
difficoltà fisiche o emotive nel farlo.
Ciò per una innumerevole vastità di motivazioni che variano da donna a donna, e che sono tutte
ugualmente comprensibili e indiscutibili.

Terminato l’allattamento
inizia lo svezzamento
un altro indimenticabile momento
di grande cambiamento
soprattutto per la mamma
perché la pappa ogni volta, diventa un dramma.
Dieta del bambino

Regole base dello svezzamento

  • “50 litri” di brodo di carota e patata che secondo alcune, devono necessariamente bollire una giornata intera come il ragù della nonna, la domenica;
  • tre giorni in cui bisogna proporre al bimbo lo stesso alimento per capire se sia allergico,
  • mais e tapioca se stitico o crema di riso se va lento

Una volta introiettate queste regole potete stare un pochino più tranquille, perché dureranno fino al
compimento di un anno, tempo massimo in cui nella dieta del bambino devono essere introdotti tutti
gli alimenti, naturalmente eliminando le creme e introducendo la pastina e alimenti più solidi e consistenti.
“Io non vi ho mai dato un omogeneizzato comprato” (non che fosse sbagliato ovviamente), ci diceva nostra
madre, per cui se c’era riuscita lei senza particolari problemi 25/30 anni prima, noi con l’avvento della
tecnologia uh potevamo diventare chef stellate.
Ci siamo prodigate così tanto per i nostri figli con omogeneizzati fatti in casa che quando arrivava il
momento della pappa non vedevamo l’ora di vedere la loro faccia felice e soddisfatta … beh nemmeno
il giudizio del severissimo trio Cannavacciuolo/Barberi/Cracco sarebbe stato così spietato se paragonato
alla faccia
disgustata dei nostri bimbi. O gli “sputazzamenti” vari che creavano un bel quadro di Picasso sulle nostre
facce.
Le mani perennemente infilate nel piatto e poi una bella passata tra i capelli e la pappa fatta in casa preparata con tanta cura e amore, finiva dappertutto, tranne che nei loro stomaci.
E come dimenticare le volte in cui accidentalmente gli andava per traverso.
Che Dio ce ne scampi e liberi, se ci si trova a cena dai propri genitori.
Quando capitava a noi, nostra madre urlava talmente tanto che metteva sottovuoto la stanza.
Nostro padre invece, cuor di leone, era accovacciato in un angolo che piangeva,
mentre allertava la guardia forestale, medica, nazionale e pure l’elisoccorso alpino.
E noi con uno scatto felino facevamo un balzo volante di 2 m per arrivare da nostro figlio e in una frazione
di secondo gli avevamo disostruito le vie aeree e persi pure 10 anni di vita per la paura.
Insomma è tutto molto faticoso, ma anche estremamente divertente, perché contornato da momenti
esilaranti in cui i nostri figli si trasformano in veri e propri baby attori comici.
Sgridarli diventa quasi impossibile, anche se il piatto della pappa ce l’hanno per cappello e svuotano il
biberon dell’acqua, nei rimasugli di mais e tapioca sopra il seggiolone. Acqua e crema, creano una sorta di
calce viva, che non va via nemmeno con mazzetta e scalpello, ma è più facile che ci trasformiamo nella
bella lavanderina e puliamo tutto in men che non si dica, piuttosto che arrabbiarci perché niente vale di più
di un momento divertente insieme ai nostri bimbi.

Omogeneizzati fatti in casa per lo svezzamento

Allattamento e svezzamento Leggi tutto »

Gravidanza: “un mondo di panze a tutto tondo”

La “panza” della gravidanza si sa, assume forme diverse.

Esistono le “panze” rotonde e quelle a punta.

Quelle piccole e quelle grandi.

Le “panze” sempre state basse e quelle sempre state alte.

Quelle “attraversate dalla linea nigra” e quelle che di linea non v’è più l’ombra, perché galeotte furono le voglie costanti di

ingurgitare per lo più, cibi proibiti per poter superare la prova bilancia…

Ma in ogni caso, qualsiasi esso sia l’aspetto, una donna in gravidanza non rappresenta l’emblema della

bellezza assoluta? La “panza” della gravidanza non è la forma incondizionatamente e imparagonabilmente

più bella che delinea il corpo di una donna?

Un corpo che deve fare spazio ad un altro, o due, o a quanti altri corpi la genetica, o Dio, o chi per esso

comandi, non è un corpo che va consacrato nella sua unicità?

La gravidanza è un mondo a sé. È una delle esperienze più sensazionali che precedono la nascita di una

madre.

Ebbene sì, di una madre, di una nuova donna, ancora prima di celebrare la nascita di un figlio.

Probabilmente si, ma non necessariamente.

Non è inconsueto sentire una donna in gravidanza, aver paura di come seno, glutei e fianchi possano modificarsi durante i nove mesi.

Non è tanto meno anormale, che si lamentino del proprio aspetto, perché non riescono a guardarsi in quella nuova versione di sé stesse modificata.

Noi donne siamo chiamate a qualcosa che per natura è riservato solo a noi.

Siamo “obbligate” a subire la metamorfosi dei nostri corpi, “per dare vita alla vita”.

Siamo le sole che debbano contrastare una serie sconfinata di emozioni che fanno a cazzotti tra di loro.

Possiamo avere il sacrosanto diritto di non essere sempre al TOP?!

Possiamo dare la colpa agli ormoni sé, il più delle volte anziché essere delle Candy Candy siamo più Dottor Jekyll e mister Hyde?!

Direi proprio di si, prendiamocelo questo diritto, anzi “pretendiamolo”, perché ci si aspetta da noi sempre il 200%.

Se deludiamo le aspettative, allora non siamo abbastanza forti, o abbastanza brave, o non siamo semplicemente abbastanza, per

una società in cui siamo chiamate a puntare alla perfezione.

Va da sé che la perfezione non sia di questo mondo, quindi è bene che continuiamo ad essere umane.

Senza rincorrere quei modelli aspirazionali che il mondo circostante ci impone e che per una innumerevole serie di ragioni,

non possono che crearci ulteriore disagio, semplicemente perché impossibili da raggiungere ..

Le nostre esperienze sulla gravidanza

Noi ad esempio, fisicamente parlando, nonostante avessimo sempre avuto una conformazione fisica simile,

durante la gravidanza abbiamo subito trasformazioni assolutamente diverse.

Una di noi due è stata una palla rotondeggiante in entrambe le gravidanze, e a palla aveva anche viso e

glutei. Giunta al termine rischiava, con del fuoco tra le gambe, di spiccare il volo come una mongolfiera.

L’altra invece aveva delle forme tenui. Una “panzetta” all’interno della quale la bambina si era adattata

perfettamente, senza troppe pretese. Una di quelle panze, che ti accorgi ci sia, solo se la vedi di profilo.

E questa è stata solo una piccolissima parte della trasformazione del nostro aspetto.

La parte delle sensazioni invece? Degli stati d’animo? Delle aspettative, quelle corrisposte e quelle meno?!

Entrambe ci siamo chieste se all’epoca delle nostre ere gravidiche fosse tutto idilliaco.

Eh no, non lo è stato affatto.

Una ha vissuto e affrontato la gravidanza, in uno dei periodi più tristi che sono già diventati storia,

durante la pandemia da Covid-19, in cui le ecografie e i controlli venivano eseguiti in solitudine, gli abbracci

erano finiti nel dimenticatoio insieme alle speranze di trovare lievito, uova e farina al supermercato. (https://essenzamamma.it/blog/ )

L’altra invece ha affrontato la prima gravidanza confinata in terra straniera, in Germania per l’esattezza,

lontana dai propri affetti, con cui poter condividere gioie e dolori di un momento così unico.

La seconda gravidanza invece, sempre nel periodo del Covid e di quello, ne è stato già tristemente parlato. (https://essenzamamma.it/blog/ )

No! non è stato idilliaco! Non è sempre stato bello.

Abbiamo avuto paura, ci siamo sentite sole, stanche e incomprese. Abbiamo riso a crepapelle e pianto

inconsolabilmente dopo neanche 10 secondi. Abbiamo accantonato vestiti che non entravano più.

Messo sveglie per ricordare l’acido folico. Lottato contro la stitichezza provocata dalle odiose pasticche di

ferro. Pregato ad ogni controllo che tutto procedesse nel verso giusto. Pianto in modo irrefrenabile quando

abbiamo sentito per la prima volta il loro cuore battere.

Abbiamo sognato, sperato e pregato di stringere finalmente i nostri figli tra le braccia.

Cosa siamo noi donne?

Noi donne siamo il motore che fa girare il mondo, perché la donna è forza, coraggio, sensibilità,

amorevolezza. Noi donne siamo tutto, anche se spesso lo dimentichiamo.

I papà sono straordinari per carità, ma volete mettere la donna. Quella che brama famelica le due linee

verticali di un test di gravidanza.

Quelle che con coraggio si sottopongono all’inverosimile pur di vederle comparire quelle due linee.

Quelle che sognano e piangono i loro bambini mai nati.

Ogni donna è un mondo e vive in un mondo in cui lotta a volte costantemente, contro lo spauracchio

dell’infertilità. Contro il dolore della perdita. Contro chi le incolpa di non sentirsi ancora pronte per diventare madri.

Quello di essenzAMamma allora diventa il mondo in cui, -donne-, che siate già mamme, o che vogliate esserlo, vi sentiate comprese, sostenute, felici e grate.

Una comunità in cui possiate sentirvi libere di esprimervi e raccontarvi, perché dall’altra parte, non ci sarà una mamma, bensì due, pronte ad ascoltarvi.(leggi art. https://essenzamamma.it/perche-un-blog-per-mamme/ )

Gravidanza: “un mondo di panze a tutto tondo” Leggi tutto »

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo sei.

Post parto

Ricordo i giorni del post parto con tanta amarezza. Da quel momento in poi cambiò tutto. Cambiò tono. Addirittura colore.

Tutto iniziò in questo modo.
Le mie gambe non volevano proprio collaborare. Si ostinavano a restare in un’immobilità insopportabile. Mi ritrovai allora come Beatrix Kiddo in Kill Bill alle prese con l’alluce. “Muoviti…”. Lo guardavo e ripetevo come un mantra. Le infermiere andavano e venivano. Le nuove visite post parto si facevano sempre più insopportabili. La ginecologa di turno arrivava ed esordiva “non mi respinga signora”, ed io “certo doc, come no, mi stavo appunto rilassando”, mentre con le mani, senza preavviso, affondava rovistando nella pancia e nella patata senza remore, contemporaneamente. Una doppietta insopportabile.

In ansia aspettando mia figlia

Erano ormai ore che non vedevo mia figlia. Mi avevano informata che “era un po’ freddina” ma che l’avrebbero portata in serata dopo aver fatto una seduta di lampada.
Ore 17, orario di visita. Arrivò il papà ma non riuscì a vederla. Si recò al nido, stanza attigua alla mia e gli ripeterono quanto scritto sopra. Riconobbe il pianto della piccola e chiese “è la stessa bimba che si sta disperando?” In risposta, un cenno del capo e una porta sbattuta in faccia . Il pianto disperato continuava. Restammo un altro po’ insieme, ma finito l’orario delle visite mio marito dovette andare. Passarono altre ore. Erano ormai le 21. Ancora nulla. A seguito delle mie richieste tutte ripetevano le stesse parole: “le faccio sapere – ora chiedo – ma stia tranquilla”.

Certo, come se fosse possibile. Mi sentivo impotente ed inutile oltre che preoccupata. Avrei voluto urlare “che cavolo vuol dire che è un po’ freddina? cosa le state dando da mangiare? latte artificiale? è chiedere troppo avere una spiegazione? e poi, non si è rosolata abbastanza sotto la lampada?”.
Eppure, ancora “drogata” di anestetico mi rassegnai. Insomma, ero pur sempre in un ospedale. Dovevo stare tranquilla. Se l’equipe del reparto fosse stata professionale come quella della sala parto, non avrei avuto nulla da temere, mi incoraggiai. Dovevo cominciare ad affrontare il post parto.

Finalmente una spiegazione

L’una di notte. Per evitare di infastidire nuovamente le infermiere indaffarate, mi ritrovai a chiamare il nido, telefonicamente. Ripeto, all’una di notte. Come un’idiota. Ovviamente nessuno rispondeva.
Cedetti, infine disturbai le infermiere chiedendo notizie di mia figlia, partorita tredici ore prima. Dopo una quarantina di minuti si presentò quella che, credo, fosse la capo reparto del nido. Mi spiegò che la bimba era “freddina”, (e questo lo sapevamo già), ma proseguì “comunque sia la prima notte dopo un cesareo d’urgenza non vi portiamo i piccoli in stanza, almeno potete riposare, il post parto è duro, si prepari ”.

Avrei voluto risponderle che avevo avuto ore per riposare se solo mi avessero dato notizie chiare e certe e non un rimpallo tra turniste. Mi ricordai però di essere una persona educata e dissi solo “ce la faccio dottoressa, grazie, sono ore che non la vedo, può farla portare per cortesia?”. Mi “accontentarono”, se così vogliamo dire. Ci accoccolammo insieme, la guardai in adorazione mangiare e poi dormire. Poi di nuovo attaccarsi al seno e crollare. E io non avevo bisogno di altro. Ero letteralmente in adorazione mistica. In una nuvola rosa fatta di amore e nient’altro.

Post parto

Il giorno seguente

Arrivò il pomeriggio seguente e mio marito lasciò che venisse mia madre a farci visita. Potevamo ricevere una sola persona.

Mia madre, seppur felice e sorridente dietro la mascherina, se ne andò in apprensione.

Mi aveva trovato gonfia d’aria, come un palloncino pronto a scoppiare. Non so bene come descrivere la sensazione, ma il mio addome, ormai molle, era un sobbalzare e scoppiettare continuo. Tutta quell’aria andava a premere contro i punti del taglio cesareo che cominciava anch’esso a fare male. Le ore passavano ed io iniziavo a contorcermi per il dolore. Non riuscivo a muovermi per le fitte allo stomaco, nonostante riuscissi a sopportare i punti che tiravano.

Il dolore oltre i punti

Chiesi aiuto all’infermiera di turno, poi a quella del turno successivo “è normale, hai avuto un cesareo”. Nel frattempo, io che ero nella stanza di fronte al loro ufficio, sentivo tutte le lamentele ad ogni campanello che suonava, tutte le chiacchiere tra colleghe che si dovrebbero pronunciare a bassa voce, o non dire proprio . “Non ti lasciano un attimo tranquilla” “il letto 15 è insopportabile” …e via discorrendo, preferisco non continuare perché vorrei poterlo dimenticare.
Umanità, ci vuole umanità se si sceglie quel percorso. Non è un lavoro, ma una missione. E tra quelle che ho incontrato io con mia figlia al fianco, di “infermiere” avevano ben poco.
Il dolore cominciava a darmi alla testa. Non resistevo più e non sapevo più come accudire mia figlia. Non potevo muovermi. Riuscii infine, con sforzo che oserei dire sovrumano, piangendo, ad alzarmi dal letto e a suonare il campanello dicendo “vi prego aiutatemi”.
Un’infermiera si avvicinò “signora non le posso fare niente, è normale che provi dolore e al momento la dottoressa è occupata e non la può visitare, ma le ripeto che è normale, deve sopportare”. Ed io “non riesco neanche a prendere in braccio mia figlia, la prego non sono i punti del taglio, sento un altro dolore oltre quello”. Rispose “può chiedere al nido se la tengono per un po’ ” e nel frattempo chiamò il reparto.

Bisogno di aiuto e vergogna

Iniziai a singhiozzare per il dolore e ad ogni sobbalzo percepivo una coltellata sul taglio. Provai quindi a premere con la mano sulla ferita per paura di sentire di nuovo quella fitta durante i singhiozzi. Le lacrime continuavano a scendere. Non riuscivo a placare il pianto neanche di fronte al nuovo, inaspettato, lancinante dolore che mi lasciava senza fiato. La mia compagna di stanza intervenne alzandosi dal letto “ma è possibile che non potete fare niente?”.
La situazione peggiorò, per quanto fosse possibile. Arrivò una donna bionda, del reparto nido. “Cosa c’è?” disse fredda. Cercai di ricompormi ed alzarmi, dato che ero letteralmente piegata su me stessa con una mano sulla pancia ed una sul letto. Tra singhiozzi, parole strozzate e disperazione le dissi “mi scusi ma non ce la faccio, potete prenderla voi?” Restarono entrambe a guardarmi, inermi, senza un briciolo di empatia nei confronti di una neomamma che chiedeva aiuto. Infine, dopo un tempo che mi sembrò lunghissimo, mi rispose “perché? Cosa c’è?”, stremata ed umiliata le dissi “non riesco a muovermi per il dolore”. Mi ammonì e chiese “sicura?” . Mi presi un attimo.
Non avrei mai voluto mandare via mia figlia, e mai e poi mai lasciarla a quella persona insensibile che avevo di fronte, eppure non ero in grado di accudirla in quel momento, il dolore non mi faceva ragionare.
Infine annuii abbassando la testa, sprofondando nella vergogna di me stessa. La donna prese la culla e proseguì con fare stizzito, facendo una mezza impennata mentre curvava per uscire. Quella sterzata fece svegliare la mia bambina, che ovviamente, pianse. Sparirono oltre la porta. No, ero ancor meno sicura di lasciarla nelle sue mani. Mi odiai dal più profondo del cuore per quella decisione. E ne piango ancora, ma non avrei potuto fare diversamente, io.

Loro si, loro sarebbero potute essere persone più preparate ed io mi sarei risparmiata una enorme delusione.
Infine la prima infermiera esordì “ti faccio una flebo di Plasil”, allora pensai “se funziona, brutta str***, ci sarebbe da dirvene quattro, a te e alla tua degna collega”.
Avrei tanto voluto ci fosse mia madre al mio fianco in quel momento. Si, mia madre, non mio marito. Lui le avrebbe abbattute entrambe. Senza colpo ferire. Il mio salvatore, il mio tutto, a volte, troppo, ma non in quel caso.

Il malessere psicologico nel post parto

Lentissimamente mi sdraiai (accartocciata) e continuai a piangere. Io che non dormivo da due notti e quella terza avevo trovato la forza per farmi lasciare la bimba, pur di vederla. Non potevo alzarmi per i dolori del taglio eppure l’avevo abbracciata, allattata, cullata, guardata dormire. Le avevo limato le unghie per non farla graffiare. Io che non ero conscia di essere sveglia da ormai quattro giorni, avevo resistito tutte quelle ore al dolore per non disturbare le infermiere e (ascoltando il loro asserire che fosse normale) avevo aspettato finché il dolore non fosse più tollerabile ed avevo finito col dover mandare via mia figlia.

Infine la soluzione nelle vene iniziava a fare effetto. Accovacciata nel letto continuai a piangere, ascoltando di nuovo le loro lamentele. Ne avevano una per tutti e 22 i letti, tranne il mio ovviamente, in quel momento. In lontananza le urla di mia figlia. Mi sentii tremendamente in colpa, terribilmente incapace, profondamente umiliata e duramente colpita. Mi sentii una madre inutile, e non potendo accanirmi contro le infermiere, rivolsi a me stessa le peggiori offese. Cercai di riprendere le forze, ma continuai a piangere fino alle sei di mattina, facendo eco a mia figlia che veniva riportata nella mia stanza, fortunatamente ‘sta volta, da un’altra infermiera.
Me la porse, la strinsi forte a me e smise di piangere, ed io con lei.

Di nuovo insieme

Quanto mi era mancata! Ricordo che le sussurrai “perdonami amore mio, mamma ora sta meglio, facciamo la pappa, prepariamo le valigie ed andiamo a casa da papà”. Nel frattempo la pancia sembrava essere molto meno gonfia ed il dolore all’addome molto più gestibile. I punti tiravano ma chissenefrega era il terzo giorno, dolori o meno saremmo tornate a casa.
H 8:00, con grande sacrificio misi in valigia quelle sole tre cose essenziali che avevo preso, per non disturbare, come al solito, le infermiere. Le riposi con lo stesso dolore che avevo avuto tirandole fuori. Riuscii a darmi una rinfrescata e mi cambiai. Litigai con le mutande a rete e l’assorbente post parto (che proprio non voleva restare in posizione),

in equilibrio precario su gambe deboli, braccia livide, addome dolorante e schiena piegata in due per non tirare ulteriormente i punti. Impiegai due ore per terminare quelle semplici azioni. Dopo qualche ora ci dimisero. Mio marito venne a prenderci per portarci a casa e cominciare un nuovo capitolo della nostra vita in tre. Ma questa è un’altra storia.

PICCOLA POSTILLA

Prima delle dimissioni si susseguirono degli eventi tragicomici, che preciso, non racconterò in questo articolo. Se mai un domani avrò il coraggio di postare quanto ho scritto (delle ore successive) in preda alla rabbia, leggerete cosa è successo quella mattina . Considerate che, quando scrissi il mio diario di gravidanza, ripensando a quell’aneddoto specifico, ero veramente tanto arrabbiata e usai parole molto forti, ed estremamente dirette. Avevo bisogno di esorcizzare il dolore provato la notte precedente. Il dolore fisico. Il dolore mentale. Il dispiacere per l’indifferenza di chi sceglie un lavoro che ha come base l’accudimento della persona fragile e non solo non se ne prende cura, ma peggio ancora, la schernisce e la umilia …

Ma anche questa è un’altra storia.

Torna al capitolo 5, Travaglio e parto

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo sei. Leggi tutto »

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo cinque

L’arrivo in ospedale

Appena giunti in ospedale ero pronta a continuare il mio travaglio e affrontare il parto, ma non a lasciare mio marito. Lo guardai e gli dissi: “ti avviso appena ho notizie”. Ci salutammo con le lacrime agli occhi. Erano le 5 e 15.

All’entrata del pronto soccorso vidi la solita scena da film. Transenne e check-in per misurare la temperatura, percorsi obbligati, percorsi preferenziali, piedini disegnati, disinfettanti ad ogni angolo. Una volta sbrigate tutte le pratiche che erano ormai diventate una consuetudine in epoca Covid, mi ritrovai a fare una prima visita che lasciò di stucco me e le mie parti basse. Ebbi la sensazione, per un attimo, che anche mia figlia volesse uscire fuori per prendere a schiaffi la tirocinante che mi aveva appena visitata. Proseguimmo poi con il monitoraggio ed una nuova visita di controllo. La stessa specializzanda di prima, la stessa di “non infilare quella mano”. L’indelicatezza di una che non sembra avere la minima idea di che inclinazione abbia una vagina e procede diritto contro un muro, spero vivamente per le altre mamme che ora sia migliorata.

L’esito della visita

Il ginecologo, alzò gli occhi dal tavolo e disse: “E’ il primo figlio? Complimenti procede speditamente. La testa è incanalata, il collo dell’utero all’80 %, il parto aperto di 5 cm” e .. ambo, terno, quaterna e cinquina, pensai tra me e me.

(Ma che vuol dire??)

“Grazie, ehm quindi?” risposi, e lui “signora la ricoveriamo” ah ok, “bene, e mio marito?” chiuse il discorso “per il momento deve restare fuori”. Ancora. Stramaledetto Coronavirurs. Avrei potuto però uscire almeno a salutarlo.

Parto in pandemia

Affrontai altre due ore di contrazioni in solitaria, in piedi, artigliando lo schienale di una poltrona. Poi mi trasferirono nel box parto, nulla di nuovo, oltre al fatto che in questo caso, le mie dita stringevano le sbarre fredde di un letto. H 8:00 fecero salire mio marito, finalmente di nuovo insieme aspettando la nostra bambina. Non vedevamo l’ora di conoscerla, di stringerla, guardarla. Ma ero stremata. Due notti insonni e il risultato era tremendo. Non mi sentivo più tanto pronta ad affrontare il parto, a continuare con quel ritmo.

L’epidurale

Chiesi l’epidurale. Il dolore più brutto che ricordo. Non ero preparata, come non ero preparata a restare seduta immobile a bordo letto con le gambe penzoloni, un ago piantato nella colonna vertebrale e contrazioni in atto. Ho fracassato gli avambracci della piccola infermiera gracilina che tentava di tenermi ferma. Voleva solo aiutarmi, povera. Ma sembrava che quelle braccia gliele volessi proprio staccare. Ho pianto, ho addirittura pensato di preferire le contrazioni a quello strazio. Poco dopo la dottoressa esordì “devo farla di nuovo, non è andata a buon fine”.

Non feci in tempo a fermala che trovò una nuova vertebra o quel che era. Un altro buco seguito da un “crack” che fece sbarrare gli occhi all’infermiera, ma non a me, volevo solo finisse. Infilò la cannula ed iniettò il liquido nella colonna vertebrale. Percepii tutto e capii solo allora perché, prima di iniziare la procedura, avevano fatto uscire mio marito. Sarebbe stato complice di due omicidi. Scherzi a parte, non sarebbe stato piacevole per lui tanto quanto non lo era stato per me. L’unico esito positivo? Le contrazioni si trasformarono in una leggerissima, quasi impercettibile, profonda vibrazione nella pancia.

Ultimo monitoraggio

Al rientro di mio marito, poco dopo, una nuova sessione di monitoraggio.
Da lì in poi un mare di emozioni riempì la stanza. In sottofondo il battito della piccola ci cullava veloce, poi all’improvviso lento. Troppo lento. Tremendamente lento. Cosa stava accadendo? perché il suo battito decelerava? Arrivò la paura. Paura di non poterla conoscere, di non vederla nascere. Cercai gli occhi di mio marito, che nel frattempo non aveva mai smesso di tenermi la mano, ma erano persi anche i suoi, attenti a controllare ogni movimento dei medici, ogni segnale di allarme. Lo guardavo ma a tratti lo perdevo, tante erano le lacrime. Cercavo di interpretare gli sguardi di dottoresse, infermiere ed ostetriche che si muovevano veloci intorno a me, ma non tradivano nessuna emozione dietro quelle mascherine.

Parto cesareo d’urgenza

Mani che entravano ed uscivano. Un continuo rimestare come un mestolo nella pentola. “Sei di 8 cm”. Il monitor mostrava il battito, 68 bpm. L’ostetrica tentò un’ultima manovra, rompendo involontariamente il sacco. Mi guardò “dobbiamo farla nascere”. Sgranai gli occhi e mio marito, che aveva colto la mia richiesta d’aiuto, alzò la voce “scusate, che cosa sta succedendo?” . Nel frattempo un lettino operatorio veniva spinto nella stanza, ed io capii tutto ed in pochissimi secondi, con sconforto, accettai anche quel cambiamento.

Non sarei stata io ad aiutarla, non avrei mantenuto la mia promessa, non potevo fare oltre. Sentivo come se mi stessero strappando un pezzo, come se il destino si fosse accanito contro la mia determinazione, la mia voglia di dare il massimo per mia figlia. “Ma va bene” pensai, “l’importante è che stia bene, che vada tutto bene”. Un turbinio di pensieri durato un secondo, giusto il tempo per ascoltare la risposta della dottoressa “dobbiamo fare un cesareo d’urgenza perché la bimba è in sofferenza, mi dispiace tanto”. Annuii. Anche a me. Ce l’avevo messa tutta, io, “cacasotto” che altro non ero, avevo sopportato e affrontato con fermezza quelle ultime 15 ore di travaglio, per amore di un esserino che ancora non conoscevo.

In sala operatoria

Io ed il lettino di prima entrammo in sala operatoria. Brrrrr freddissimo. Mi informarono che avrebbero dovuto fare la spinale ed inserire il catetere, chiesi “dove?” poi realizzando esclamai con un certo imbarazzo “ahh”, di nuovo lì, “povera patata bistrattata”. Ringraziai il cielo di non sentire nulla. Mi legarono le braccia, non si poteva rischiare di intralciare il tavolo operatorio. Tirarono su delle tende verdi. Davanti a me non vedevo più nulla. Non sentivo più niente dal busto ai piedi.
Non faceva neanche più freddo, ma percepivo il taglio e le manovre al suo interno. Sentivo il mio corpo inerme. Sentivo manovrare dentro quell’apertura. Non ero assolutamente pronta, né preparata a questo. Tanto meno ne avevo la forza. Informai l’anestesista che non ce l’avrei fatta, che non sentivo dolore ma percepivo tutto e non sarei stata in grado di resistere. “Ma la devo addormentare, ne è sicura?”, disse lei. Provai a resistere, ma non ne fui capace. Vigliaccamente inspirai attraverso la maschera che infine mi porse e “svenni”.

05/07/2020

Ore 10:10

2,79 kg

49 cm

Il risveglio

Un’ora dopo aprii gli occhi. “Siete stati fantastici” dissi. Ringraziai l’equipe perché era stata professionalmente impagabile. Accorti, precisi, puntuali. Erano riusciti a farmi sentire in mani sicure, in un momento di panico totale. Risero. “Ma quanto anestetico le hai dato?” sì domandarono tra colleghi. In effetti mi sentivo letteralmente drogata. Poi un lampo di lucidità “come sta la bimba?” – “sta bene”- “e il papà?”- “sta con lei, le stanno facendo il bagnetto”. Sdraiata sul tavolo operatorio con le braccia ancora legate, provai un moto di invidia nei confronti di mio marito, ma sorrisi e mi resi conto di avere gli occhi ancora chiusi.

“Si, sono davvero drogata ”ricordo di aver pensato. Dopo qualche minuto sbattei le palpebre cercando di mettere a fuoco.

Difronte a me una donna con in braccio un piccolissimo frugoletto in tuta gialla. Regalo della nonna, come tutto il primo corredo, poi il secondo ed il terzo, ed il quarto…(cosa non si farebbe per i nipoti).

Di nuovo l’anestetico di prima. Ritornai in me. Pensai. “Mia figlia, è mia figlia!”. Incredula, felice, allibita, impaziente, elettrizzata, impaurita. “E adesso?” , mi chiesi. La dottoressa si avvicinò, la poggiò sul mio petto. “Ciao Bimba” e altri farfugliamenti indefiniti.

Non ero lucida e non riuscivo a mettere a fuoco nemmeno le parole, tra le miriadi che avrei voluto sussurrarle. Piansi. “La posso accarezzare?”, chiesi. Slacciarono la cinta che teneva il mio braccio bloccato e sentii la sua pelle. Piccoli vagiti. Provai a sistemarle il cappellino, ci passava un’intera mano dentro, tanto era piccola.

Il tavolo operatorio avrebbe dovuto mantenere la sua sterilità ed io mi stavo muovendo troppo, per cui mi legarono di nuovo. Un moto di angoscia. “Devono finire di lavorare ancora”, riflettei tristemente. L’avrei rivista un’ora dopo. Mi spiegarono perché fossero ricorsi ad un taglio cesareo d’urgenza. Il cordone ombelicale, durante la discesa della bambina, rimaneva schiacciato tra la sua guancia ed il canale del parto. “Ci è dispiaciuto tantissimo, stava andando così bene”. Immaginai mia figlia. Avevo letto che i bambini sanno come nascere. E lei era talmente pronta che avrebbe fatto di tutto pur di portare a termine la sua missione. Determinata, “e brava ‘a mamma“. Trovai la prima somiglianza tra di noi, sorrisi e mi riaddormentai.

Le sensazioni dopo il parto

Poco più tardi mi chiesero come mi sentissi, “bene” esclamai senza pensarci veramente.

Poi una voragine nel petto. Ritornai a prima, nel box parto. Sentii di nuovo quel battito decelerare. Salì l’angoscia. “Non respiro” dissi. Si allertarono tutti e subito chiamarono l’anestesista.

Ragionai nei pochissimi minuti prima del suo arrivo, che fosse solo una attacco d’ansia. Sentivo i polmoni appiccicati. L’aria che entrava, era solo una piccola parte di quella che avrebbe dovuto, ma era solo una sensazione, già vissuta in passato. “Respiro, certo che respiro. Sono mamma ora, non posso preoccuparmi per questo” pensai in tono materno.

Arrivò l’anestesista cercando di tranquillizzarmi, ma io avevo già fatto da me. Brava anche mamma, forza e coraggio! Stavano finendo di lavorare. Tolsero le tende. Calò il sipario. Mi coprirono. Le mie braccia tremavano animate da non so quale strano impulso. Dicono sia l’effetto dell’intervento, o i pinguini della sala operatoria. Non si sa, ma succede sempre, o quasi. Io rientravo nella prima casistica, ovviamente.

Il rientro in stanza

Sentii muoversi il letto ed uscimmo dalla sala molto più lenti di come ne eravamo entrati, unico gesto che aveva tradito un’ora prima una certa urgenza. In fondo al corridoio vidi una figura. Cercavo di mettere a fuoco, nonostante le palpebre pesanti. Ci riuscii. Lo riconobbi subito. Mio marito. Teneva in braccio nostra figlia, ancora più piccola in quel metro e novanta di tenerezza. Fu gioia pura, incredulità, felicità, stupore. Il mio cuore esplodeva. Lo sentivo pompare sangue in ogni parte del mio corpo. In un attimo provai calore, amore, meraviglia. Sentivo tutto e niente. Lacrime. La più bella immagine mai scattata, il più bel quadro mai dipinto. “Oh mio Dio” pensai, e lo ringraziai per avermi dato tanto.

Andammo tutti in una stanza che visivamente non ricordo, io sul letto e per marito una sedia che non avrebbe mai usato.

Passammo un’ora a guardarci. Finalmente insieme, finalmente noi. La piccola era tra le mie braccia, incastrata stile tetris tra i mille tubi delle flebo. Io non sentivo nulla, se non le gambe che pesavano inermi come macigni e mio marito, addolorato, non sapeva dove toccarmi e come aiutarmi. Mi guardava con un’aria strana, nuova. Un misto di meraviglia, rilassatezza e commozione ma anche impotente dispiacere. Felice per lei, in pena per me.

In un attimo di estrema naturalezza la bimba si attaccò al mio seno, e fu l’evento più spontaneo a cui avevo mai assistito. Di nuovo restammo rapiti. Arrivò l’ostetrica per aiutarmi, come faceva con tutte le neo mamme a mettere in atto quella manovra. “Facciamo attaccare la piccola? Ah, avete già fatto?” Nel mio rintronamento sorrisi già fiera di mia figlia. Salutai mio marito. Era finito l’orario di visite ed il tempo insieme causa Covid.

Continua al capitolo 6, Post parto

Torna al capitolo 4, Ultimi giorni di gravidanza

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo cinque Leggi tutto »

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo quattro

Ultimi giorni di gravidanza

Poco tempo dopo, le mie sensazioni al termine della gravidanza divennero molto più chiare. Era un martedì e quando mia madre mi chiese: “tu cosa senti, che pensi?” le risposi “non arriviamo oltre domenica”…ed infatti, quella stessa domenica, alle 10 e 10 di mattina arrivò la mia bambina. …Ma procediamo con ordine.

La mia idea di travaglio

Mi ero fatta un’idea di come sarebbe stato il mio travaglio. Avevo trascorso gli ultimi mesi di gravidanza immaginando, creando e visualizzando il primo momento in cui avrei aiutato attivamente mia figlia a fare qualcosa. Dovevo credere che sarei stata co-protagonista di quell’atto. Dovevo concentrarmi al meglio per superare la paura, dovevo dedicarmi in tutto e per tutto a quel mio compito, calarmi in quel ruolo e prenderla come una missione. Ero decisa ad esorcizzare quel terrore che mi assaliva ogni notte, ed allora ho pregato, perché avessi aiuto, perché avessi la forza ed il coraggio necessari. E così infine è stato.

Nel frattempo le ostetriche del corso preparto (seguito on-line, causa pandemia) si raccomandarono di non correre in ospedale alla prima contrazione, di resistere e restare a casa finché fosse possibile, per evitare l’ansia che solo un ambiente estraneo avrebbe potuto scatenare. Ed io, che di ansia ne avevo fin troppa, ero decisa ad aspettare fino alla fine, nell’intimità della mia casa, con mio marito al mio fianco.

I prodromi

Quel sabato, in tarda mattinata, persi quello che le ostetriche identificavano come “tappo”.

Non furono propriamente delle perdite ma un vero e proprio “splash” durante una delle innumerevoli pipì della giornata. Era cominciata, avevo deciso così, “ci siamo” mi ero detta. Un messaggio a mio marito “io non credo manchi molto, forse dovresti uscire prima da lavoro”.
Così aspettai il suo rientro, lo guardai e gli dissi “aiutiamola a nascere” e ci dirigemmo in camera da letto, lasciandoci andare a quello che, sapevo, sarebbe stato il nostro ultimo momento di intimità con una pancia di mezzo…

Prima del travaglio


Passarono poche ore, erano le 19 di sera. La prima contrazione. Toccai la pancia “Va bene, a mamma, sono qui. Non vedo l’ora di conoscerti”.
Cominciò così, una contrazione ogni 15 minuti fino alle 22:00. Decisi allora di fare un bel bagno caldo e mi immersi nella vasca. Sempre durante il corso pre-parto avevo scoperto che potesse essere d’aiuto. Mezz’ora dopo uscii e con tristezza mi resi conto che le contrazioni avevano rallentato la corsa.

Ma era solo una pausa. Anche mia figlia, evidentemente, si era rilassata durante il bagno. Un’ora più tardi ricominciò l’andamento ritmico di prima, fino a divenire più forte e ravvicinato.

Mio marito durante il travaglio

Mio marito mi stringeva la mano, cercava di aiutarmi e di starmi accanto come poteva. Mi ricordava di respirare a fondo, ma io ora ricordo lui più impacciato e impaurito che mai. Impotente di fronte ad un mistero così grandioso. Lui che una volta era un paracadutista e si lanciava da dietro le nuvole.
Ci vuole un ammirevole coraggio ed una doppia dose di avventatezza per scegliere un lavoro del genere. E lui le aveva entrambe. Come la passione per le due ruote e le corse sfrenate. Niente di rischioso, tutto regolare. Una vita monotona insomma.
Ma quello era un altro tipo di salto nel vuoto. Non avrebbe aperto lui il paracadute, non avrebbe deciso lui come dare gas. In quel momento era spettatore di una storia, di un’avventura. Di una donna, la sua. E lui era lì. Trepidante di emozioni, intento a scegliere quali manifestare e quali celare. Quei suoi occhi azzurri però comunicavano, incoscienti, più di quanto volessero ammettere.
Paura, ammirazione, tenerezza, amore, impotenza e fermezza. In ultimo però mi sembrava anche “coscientemente” fiero. Si, di sapere che ce l’avrei fatta, che avrei portato a termine quel compito, ed io mi sentivo ancora più in grado e traevo forza da quella sua fiducia.
Ad un certo punto crollò in un sonno profondo. Ad oggi, temo di aver ignorato quello che fu più probabilmente per lui, uno svenimento.

Le mie sensazioni durante il travaglio

Le contrazioni erano forti, toglievano il fiato, ma dovevo ricordarmi di respirare, era essenziale. Eppure in quei momenti ci si dimentica di quanto sia fondamentale e “naturale”. Mi risultava più facile trattenere il fiato. Ci volle un po’ di sforzo. Non solo per evitare di stramazzare al suolo cianotica, ma per accompagnare quell’atto ed aiutare il mio corpo ad avere l’energia necessaria. Ad ogni respiro, infatti, l’ossigeno sembrava curare i tessuti che prima si schiacciavano, sembravano contorcersi e dilatarsi; ed ogni passo che facevo pareva deviare e alleviare ogni dolore.

E’ assurdo poter scoprire quanti strati abbiamo nel corpo, eppure ogni donna, in quei momenti, li percepisce tutti.

Continuai così, facendo avanti e indietro dal balcone all’interno di casa. Non riuscivo a sedermi, né a stare sdraiata, il dolore era molto più gestibile in movimento, allora realizzai che ci aspettava un viaggio in macchina …e non avevo idea di come avrei potuto affrontarlo. Le spinte si fecero più forti.

L’onda del travaglio

Quando si legge di un travaglio, spesso si sente parlare di un’ “onda”, in relazione alle contrazioni. Credevo si intendesse il suo andare e venire. Mi accorsi in quel frangente che non avevo capito niente.

Quella stessa definizione era da associare più propriamente ad una forza. Al suo propagarsi, infrangersi, al suo divenire incessante, inarrestabile, incontrollabile. Un forza tale da sembrare un qualcosa di primordiale, profondo, naturale ed istintivo nel senso animale del termine. Allora e solo allora arrivarono lo stupore, il trasalimento, il dubbio ma anche l’eccitazione e l’ansia.

No. Non provavo paura. Non ancora almeno. Era tutto sopportabile. Ero talmente concentrata sull’aiutare mia figlia che continuo a chiedermi oggi come sia possibile, che una “cacasotto” come me, abbia avuto un travaglio bellissimo come l’ho avuto io.

L’ora di andare in ospedale

Mi decisi. Svegliai mio marito. Dovevamo andare in ospedale e avrei dovuto farlo fintanto che le contrazioni sarebbero state ancora gestibili.

E come raccontarli quei venti minuti, (con contrazioni ogni quarto d’ora) a passo d’uomo con l’osso sacro che sembrava volesse uscire fuori asse ?

Ricordo ancora il punto in cui ci dovemmo fermare per poi ripartire qualche secondo dopo.

La natura, mamme… è disarmante già di per sé…ma il travaglio, è qualcosa di magico. Trenta, quaranta, sessanta secondi di dolore indefinibile, di quelli che danno alla testa (come quando sbatti il mignolino del piede contro una parete)… ma come per magia, invece di restare lì a saltellare imprecando, riesci poco dopo a ballare sulle punte come fosse niente. Mi ripeto, è qualcosa di istintivo e primordiale.

Tornando a noi.

Poco prima di arrivare al pronto soccorso guardai fuori dal finestrino, come ero solita fare nei “lunghi” viaggi.

Non mi aspettavo che in quel momento avrei visto la più bella luna della mia vita. Era enorme, quasi al tramonto, come se si fosse resa più visibile per poterci salutare, un’ immensa palla di luce che illuminava il nostro cammino. In quel momento pensai “sto per diventare mamma“.

Continua al capitolo 5, Travaglio e parto

Torna al capitolo 3, Sensazioni e sintomi

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo quattro Leggi tutto »

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo tre

Sensazioni e sintomi


… Non fu tutto rose e fiori. Sensazioni e sintomi nuovi da gestire.
Ho guardato le mie caviglie diventare più gonfie, le mie gambe allargarsi ed i jeans cedere il posto agli abiti pre-maman. Una volta tolto tutto ciò in cui non entrassi più, esclamai di fronte l’armadio vuoto: “ed ora cosa mi metto?” – “metto, metto,mettoooo” fece eco il fondo dell’armadio …

Gli ormoni questi sconosciuti

Ho avuto i nervi a fior di pelle quando ero in fila, sotto il sole delle 18:00 e a me sembrava quello infuocato di mezzogiorno e nessuno aveva il buon cuore di farmi passare avanti . Il fumo dalle orecchie quando incrociavo una segretaria indisponente anche se temo, onestamente, lo fosse solo per me e tentavo di reprimere un istinto omicida. Gli ormoni impazziti, gli aghi durante le analisi

Ho detto “arrivederci” al mio ingozzarmi senza ritegno e “non mangerò mai più gnocchi in vita mia”. Folle bugiarda, non ho mai resistito alla pasta fatta in casa da mia madre.
Ho detto addio al mio sentirmi donna, alla sensualità, alla sessualità comoda. E perché no? Alla comodità dello stare piacevolmente sul divano o semplicemente dormire a pancia in giù.
Ho pianto di vergogna quando, idealizzando un maschietto, rimasi sorpresa scoprendo che si trattasse di una femminuccia. Ci vollero tre giorni per tornare ad uno stato di normalità e realizzare l’assurdità dei miei pensieri. E poi di nuovo vergogna, per i miei continui sbalzi d’umore: il detestarmi e l’amarmi che si sfidavano, ed io ero solo un terreno di battaglia. Sensazioni di profondo turbamento e sintomi nuovi da decifrare.
Ho pianto di gioia quando, appresa la notizia della gravidanza, io e mio marito ci siamo abbandonati in un abbraccio, fusi in tre, anche se all’epoca non avevamo idea di ciò che sarebbe stato. Più avanti, ho gioito della trepidazione prima delle visite, del cuore in gola quando l’ho sentita scalciare per la prima volta, delle lacrime dolci durante le ecografie. Ho sorriso sentendo il suo cuore battere o vedendola muoversi , potendo realizzare visivamente che ci fosse una vita dentro di me. E di nuovo, più avanti, mi sono commossa mentre cantavo la mia ninna nanna preferita, quella che mia madre inventò per me e mia sorella. Percepivo la piccola muoversi di più, come se, a forza di sentirla, la riconoscesse già.
E ancora una volta ho pianto di gioia quando ho realizzato che mancava poco e che non avessi la minima idea di quanto l’avrei amata.

Ho tremato dalla paura pensando al parto e ho esclamato “ma cosa ho fatto? non sarò mai in grado di sopportare il dolore”.

Gravidanza e Covid

Ho provato paura quando a causa del Covid, nacque l’obbligo del distanziamento e dell’uso delle mascherine, realizzando che avrei affrontato la gravidanza lontana dai miei amori più grandi.
Non avrei trascorso i pomeriggi sul letto a fantasticare con mia madre e mia sorella. Né avrei visto gli occhi di mio padre colmi di emozione. Non avrei fatto disegnare un faccino a mio nipote sulla pancia, al limite, gli avrebbe fatto una rapida carezza, con tanto di mascherina, a soli tre anni.
Non avremmo passeggiato tutti insieme.

carezza sulla pancia


In quei mesi si, ho provato dolore. Per la lontananza che avrei voluto colmare e la distanza che avrei voluto evitare.
Per gli affetti ed i baci negati, per il calore di un abbraccio mancato, l’emozione di un sorriso coperto.
Ho provato dolore davanti ad ogni telegiornale per il terrore della perdita, il dilagare della malattia da Covid-19, l’incertezza del futuro. Il dispiacere per mio marito, che ha perso mesi di ecografie e visite, per il senso di impotenza che ha dovuto soffocare, per le lacrime che ha dovuto celare, ed il coraggio che ha dovuto mostrare. Provo dolore ancora oggi, al solo pensiero che nonni e zii non abbiano potuto bearsi di un bacio dato alla nipote, nata da tre mesi e mezzo; nel realizzare che mia figlia non abbia foto con loro senza che indossassero una mascherina.
Sono certa però, che l’amore ricevuto, avesse colmato quello spazio azzurro che vedeva sui loro visi.
Questo è quanto ho provato. Emozioni nuove, amplificate, quasi incomprensibili. Sensazioni forti, prepotenti, quasi ingestibili e mai le avrei immaginate tali.

Mancava solo una cosa da fare…capire dove trovare il coraggio per affrontare il travaglio…

Continua al capitolo 4, Ultimi giorni di gravidanza

Torna al capitolo 2, Primo trimestre di gravidanza

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo tre Leggi tutto »

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo due

Primo trimestre di gravidanza

Non avrei mai immaginato di poter percepire dei cambiamenti fisici prima ancora di apprendere la bella notizia della gravidanza. Ora, per intenderci, nel momento in cui si manifestarono non li avevo collegati ad una possibile gravidanza, ma un dubbio s’era fatto spazio dentro me.
Si trattava di semplici e piccole cose che esulavano dalla normalità della mia vita quotidiana. Avevo costantemente sete. Non ero solita idratarmi come si deve ed una bottiglia d’acqua generalmente durava circa due giorni…ricordo che per qualche settimana non ne bastava una al dì.
Mmmmmm… Avevo per caso contratto qualche strano virus Thailandese durante il viaggio di nozze?
Inoltre, con mia grande sorpresa ed in più di un occasione, la mia pestifera gatta si era lasciata andare ad effusioni amorose mai manifestate in precedenza. La prima volta mi chiesi se finalmente mi avesse accettato tra le sue grazie, la seconda dubitai delle mie capacità igieniche e cercai residui di pancetta sul mio viso… infine sospettai che volesse comunicarmi qualcosa.
L’idea del virus Thailandese si faceva sempre più insistente…

Gravidanza in compagnia

Sensazioni iniziali

Ricordo un particolare vivido che mai dimenticherò. Una sera ero sul letto in preda a quella che credevo fosse una sindrome premestruale e dolori annessi. A catturare la mia attenzione ad un certo punto fu proprio quel dolore, lo stesso di sempre, stile “coltellata da ciclo” ma accompagnato da una particolarissima sensazione di “scossa elettrica” all’altezza dell’inguine. Meglio di così non saprei descriverla: fu proprio un lampo, chiaro e distinto, una scintilla. Mi chiesi cosa stesse accadendo. Non era nulla che potesse passare inosservato o che non lasciasse sorgere una perplessità. Sono fermamente convinta ora, ( all’epoca avevo solo arricciato il naso) che sia stato in quel preciso momento che è iniziata la vita di mia figlia. Mi piace ricordarlo ed immaginarlo come uno scoppio, un Big-bang in miniatura. La creazione, la nascita di una nuova vita. Ed eccola lì. Ciao Bimba.
L’ho sentita nascere, ma non ho capito in quel momento, che fosse lei.

Il “cervello da gravidanza”

I giorni seguivano ed io non riuscivo più a ragionare, a mettere in fila una parola dopo l’altra, a restare concentrata e svolgere più di un attività alla volta.
Mi chiesi, onestamente se fossi diventata stupida.
Il semplice chiedermelo però presupponeva una minima capacità di ragionamento e questo almeno mi rincuorava, ma non era abbastanza. Solo più avanti, mentre leggevo le miriadi di articoli su Google e le mille pagine di libri sulla maternità, trovai la risposta alla mia domanda … un articolo che parlava del “cervello da gravidanza”.
Per farla breve, un gruppo di ricercatori dell’Università di Leiden in Olanda e dell’Università autonoma di Barcellona, sosteneva che dopo la nascita dei bambini, nel cervello delle donne si poteva constatare una diminuzione di volume della materia grigia. – Focus.it …
Ovviamente questa trasformazione metteva le sue radici già durante la gravidanza.
Perfetto, era del tutto normale. Non mi ero rimbecillita.
Anche il mio cervello stava cambiando. Dovevo solo abbracciare la mia condizione, assaporarne ogni aspetto. E così ho fatto.
L’interdizione al lavoro fu inizialmente un fulmine a ciel sereno. Ricordo di aver pianto l’ultimo giorno salutando i miei colleghi. Più avanti mi resi conto che fu più propriamente una manna dal cielo, non sarei stata più in grado di ricoprire il mio ruolo come avevo sempre fatto. Ero costantemente distratta e sorprendentemente smemorata. Imperdonabile, per come vivevo il mio lavoro all’epoca dei fatti.
Ricordo i primi mesi mentre mi guardavo allo specchio con entusiasmo e le più rosee aspettative.
Non si dice forse che la gravidanza sia il periodo più bello della vita di una donna? Si. Ma siamo oneste…

Continua al capitolo 3, Sensazioni e sintomi

Torna al capitolo 1, La scoperta

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo due Leggi tutto »

Una culla fatta a mano

“Voglio realizzare una culla per la mia nipotina”.

E’ da qui che nasce tutto.

Da un desiderio, un sogno da realizzare, con lo scopo più profondo di vedere sorridere chi si ama.

Cosa c’è di più tenero del realizzare una culla?

Ad oggi, e dopo tante altre realizzazioni confermiamo che creare una culla lascia sempre una grande emozione.

Gioia, la penultima arrivata in famiglia infatti, ha rappresentato la fonte d’ispirazione per la nascita della seconda parte del nostro progetto.

Quella parte di essenzAMamma, fatta di creatività e fantasia.

Filati che si intrecciano attraverso le nostre mani e da cui prendono forma le nostre creazioni.

E la prima è stata proprio una culla per la piccola Gioia di casa.

Tutto inizia da un pensiero che diventa idea, un’idea che diventa regalo e da regalo si trasforma in progetto condiviso.

Questa passione ci ha permesso di porre le basi per la creazione del marchio: essenzAMamma, perché tutto ciò che proviene da qui:

” nasce con amore dalle nostre mani”.

Ma ora torniamo alla culla.

Il resto ve lo racconteremo più avanti.


IL PRIMO MODELLO DI CULLA ARTIGIANALE

Primo modello di culla fatta a mano realizzato in fettuccia

Da una semplice bobina in fettuccia, cotone e poliestere nasce la prima culla fatta a mano.

Armate di uncinetto, bobine, forbici e tanta pazienza ci siamo quindi approcciate alla realizzazione di questa culla fatta a mano.

Una volta conclusa abbiamo sentito la necessità di renderla perfetta sotto ogni aspetto, qualitativamente ed esteticamente.

Il supporto in legno acquistato separatamente, si presta al co-sleeping, poiché, grazie alla sua altezza, raggiunge perfettamente il bordo del letto, assolvendo allo stesso compito di una next-to-me, ma con un aspetto estetico più gradevole.

GLI ACCESSORI

Borsa fatta a mano in fettuccia
Borsa
Tappeto e cesto porta giochi fatti a mano in fettuccia
Tappeto
Cestini porta oggetti fatti a mano in fettuccia
Cestini

LA RICERCA DEI MATERIALI GIUSTI PER LA CULLA

Scelta dei materiali per articoli fatti a mano

Dopo un’attenta analisi e ricerca, abbiamo trovato un nuovo materiale: filato 100% cotone .

Oltre che qualitativamente superiore alla fettuccia usata in precedenza come noterete dalle foto, questo materiale è certificato ad alti livelli, ed è altresì ecologico, dunque tutti i processi di lavorazione avvengono nel rispetto dell’ambiente.

Trovato quindi il filato perfetto, ci siamo concentrate sulla base della nostra culla fatta a mano.

Abbiamo controllato e personalizzato le misure del fondo in legno di pioppo, realizzato su misura dai nostri artigiani di fiducia per garantirne l’uso corretto, la versatilità e l’aspetto.

IL PRODOTTO FINITO

La scelta dei materiali, dei dettagli e degli accessori adatti alla nostra culla artigianale, si è mossa con un unico pensiero:

“in questa culla dormirà un neonato che si è appena affacciato alla vita. I genitori guarderanno quel sonno beato, pensando che quella culla sia stata creata appositamente per il loro bambino”.

Targhetta con logo essnzAMamma applicata alla culla
I nostri bambini testano la culla
Bambini all'opera, team essenzAMamma al completo

Le nostre creazioni sono frutto di una passione, quella del cucito e dell’uncinetto, tramandata da madre in figlie.
I nostri prodotti, opera del nostro ingegno, sono quindi creati dalle mani di due madri e destinati alle vostre, con l’augurio che i nostri articoli per bambini seguano la crescita ed il percorso del vostro piccolo.

La nostra culla fatta a mano diverrà un bellissimo cesto porta giocattoli, e manterrà quella idea di riciclo alla base della sostenibilità, già garantita dai materiali usati nella realizzazione.
E per voi mamme, abbiamo dedicato una sezione apposita con accessori di moda per farvi sentire uniche e articoli per rendere la vostra casa ancor più
graziosa e accogliente.

Una culla fatta a mano Leggi tutto »

Perché un blog per mamme

Questo ci siamo dette. E questa è la base di tutto. Come farlo? Unendo entrambe le idee e dare vita a un
blog per mamme.

Perché la donna vuole sapere. E’ l’emblema della curiosità, si dice.
Allora nutriamola questa curiosità, ci siamo dette. Condividiamo. Facciamolo qui. Come fossimo davanti ad una cioccolata calda nei mesi invernali, o al bar con uno Spritz tra le mani d’estate.
Accomodiamoci sul divano, mentre nostro marito è intento a guardare l’ennesima imperdibile nuova serie TV su Netflix o la partita di calcio della domenica; e leggiamo. Facciamolo al posto dell’ennesima lavatrice da stendere, o dell’eterna penultima pila di panni da stirare.


Condivideremo i nostri volti, il più delle volte stanchi e a malapena truccati.
Parleremo dei nostri corpi imperfetti, trasformati con il tempo e le gravidanze in corpi diversi.
Corpi probabilmente non più asciutti come un tempo, con le smagliature che tengono compagnia alle vene varicose; ma sicuramente più maturi, più vissuti e soprattutto senza filtri, autentici. Vi racconteremo di noi, lo faremo prendendoci in giro, ridendo delle nostre
innumerevoli imperfezioni, dei nostri disagi, delle nostre pecche come mamme e degli errori commessi non
volendo. Ma l’autoironia sarà sempre accompagnata anche dalla serietà, andranno di pari passo, perché, dove c’è bisogno di umorismo autenticità e spensieratezza, c’è bisogno anche di lasciare spazio alla riflessione, alle verità che a volte vengono taciute, al dolore represso perché non compreso.
Ogni mamma rappresenta un mondo e se vorrete aprirci la porta, noi entreremo in punta di piedi nel vostro.
Noi il nostro mondo, insieme ai nostri ricordi, ai nostri sogni, alle nostre paure, e tutto ciò che per noi è caro, ve lo stiamo offrendo.

Foto scattata mentre cerchiamo di realizzare un blog per mamme

Entrambe ringraziamo i nostri figli, perché rappresentano la più grande fonte di ispirazione per questo nuovo lavoro intrapreso tra non poche difficoltà. E’ solo grazie a loro che ci siamo spinte oltre, che abbiamo capito che si può fare e dare di più a tutte le mamme che hanno bisogno di conforto e confronto.
Grazie ai nostri bambini, all’innocenza che li contraddistingue e al modo in cui inconsapevolmente raccontano le loro storie.
Grazie alla naturalezza e a quel pizzico di spensieratezza con cui vivono la vita e
con la quale a volte, riescono ad affrontare alcune situazioni molto meglio di noi.
Grazie a tutto ciò e ancora di più, abbiamo scoperto la bellezza di sorridere e ridere di cuore.
Abbiamo scoperto quanto faccia bene non prendersi troppo sul serio, essere
autoironiche e un po’ meno ipercritiche. Abbiamo scoperto l’importanza di non vergognarci delle imperfezioni, perché ciò che è diverso, che non sia convenzionale o standardizzato non è detto che sia necessariamente meno bello o meno gradevole.

Perché un blog per mamme Leggi tutto »

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo uno

Ho scoperto di essere incinta

Roma, 27 ottobre 2019

Credevo fosse facile raccontare come è stato.

Eppure, ora che mi ritrovo qui, davanti ad uno schermo bianco, riesco a ricordare ben poco di quanto sia successo e quel poco sembra essere opaco, annebbiato.

Sembra essere una vita fa, in tre parole, un’altra vita. Mi pare di vedere un’altra me, di guardarmi al di fuori, intenta ad intraprendere un percorso, concentrata a camminare. Ero spettatrice di una vita che passava, andava avanti tutti i giorni allo stesso modo, seppure con le mille emozioni che solo un animo sensibile possa avere. Ora mi dirigo, ho una meta. Devo accompagnare mia figlia in questa vita. Sono protagonista, sono io, sono presente, sono moglie, sono mamma, sono al mio posto.

Prima della gravidanza

Rispondevo al telefono, facevo cassa, sorridevo al cliente che entrava. Annuivo alle richieste di chi avevo di fronte e magari mandavo giù a rate, i pezzi di una pausa pranzo saltata. In una di quelle routinarie mattinate lavorative, mi accorsi che erano passate almeno tre ore dall’ultima volta che avevo fatto pipì. Causa rischio cistite che ne sarebbe conseguito, ragionavo se in casa avessi un Monuril per l’occasione, o se fosse ancora aperta la farmacia una volta staccato per procurarmene uno…Riuscivo a fare tutto contemporaneamente, senza sforzo. Altro che multitasking, ero una piovra. Gestivo le mie risorse, i  mq di negozio e le centinaia di clienti che incontravo quotidianamente. Mi piaceva la fretta, la frenesia, i parcheggi mancati, i clacson nel traffico, le chiamate costanti, gli auricolari alle orecchie come fossero un appendice del mio corpo, gli scarichi merce sotto la pioggia, i clienti dell’ultimo minuto, le folle e le follie durante le feste natalizie.

Tutto di corsa, sempre trafelata, costantemente disponibile, perennemente indaffarata. Questa era la mia vita. Le mie giornate, il mio tempo, la mia quotidianità. Un corri corri generalizzato. Poi d’improvviso, un enorme, gigantesco punto interrogativo. E adesso? Avevo scoperto di aspettare un bambino, ero incinta e l’unica cosa che riuscivo a fare era sorridere. Nient’altro…

Test di gravidanza di Anna

Continua al capitolo 2, Primo trimestre di gravidanza

Torna al Blog

Diario della gravidanza di Anna. Capitolo uno Leggi tutto »

Torna in alto