Diario della gravidanza di Anna. Capitolo quattro

Ultimi giorni di gravidanza

Poco tempo dopo, le mie sensazioni al termine della gravidanza divennero molto più chiare. Era un martedì e quando mia madre mi chiese: “tu cosa senti, che pensi?” le risposi “non arriviamo oltre domenica”…ed infatti, quella stessa domenica, alle 10 e 10 di mattina arrivò la mia bambina. …Ma procediamo con ordine.

La mia idea di travaglio

Mi ero fatta un’idea di come sarebbe stato il mio travaglio. Avevo trascorso gli ultimi mesi di gravidanza immaginando, creando e visualizzando il primo momento in cui avrei aiutato attivamente mia figlia a fare qualcosa. Dovevo credere che sarei stata co-protagonista di quell’atto. Dovevo concentrarmi al meglio per superare la paura, dovevo dedicarmi in tutto e per tutto a quel mio compito, calarmi in quel ruolo e prenderla come una missione. Ero decisa ad esorcizzare quel terrore che mi assaliva ogni notte, ed allora ho pregato, perché avessi aiuto, perché avessi la forza ed il coraggio necessari. E così infine è stato.

Nel frattempo le ostetriche del corso preparto (seguito on-line, causa pandemia) si raccomandarono di non correre in ospedale alla prima contrazione, di resistere e restare a casa finché fosse possibile, per evitare l’ansia che solo un ambiente estraneo avrebbe potuto scatenare. Ed io, che di ansia ne avevo fin troppa, ero decisa ad aspettare fino alla fine, nell’intimità della mia casa, con mio marito al mio fianco.

I prodromi

Quel sabato, in tarda mattinata, persi quello che le ostetriche identificavano come “tappo”.

Non furono propriamente delle perdite ma un vero e proprio “splash” durante una delle innumerevoli pipì della giornata. Era cominciata, avevo deciso così, “ci siamo” mi ero detta. Un messaggio a mio marito “io non credo manchi molto, forse dovresti uscire prima da lavoro”.
Così aspettai il suo rientro, lo guardai e gli dissi “aiutiamola a nascere” e ci dirigemmo in camera da letto, lasciandoci andare a quello che, sapevo, sarebbe stato il nostro ultimo momento di intimità con una pancia di mezzo…

Prima del travaglio


Passarono poche ore, erano le 19 di sera. La prima contrazione. Toccai la pancia “Va bene, a mamma, sono qui. Non vedo l’ora di conoscerti”.
Cominciò così, una contrazione ogni 15 minuti fino alle 22:00. Decisi allora di fare un bel bagno caldo e mi immersi nella vasca. Sempre durante il corso pre-parto avevo scoperto che potesse essere d’aiuto. Mezz’ora dopo uscii e con tristezza mi resi conto che le contrazioni avevano rallentato la corsa.

Ma era solo una pausa. Anche mia figlia, evidentemente, si era rilassata durante il bagno. Un’ora più tardi ricominciò l’andamento ritmico di prima, fino a divenire più forte e ravvicinato.

Mio marito durante il travaglio

Mio marito mi stringeva la mano, cercava di aiutarmi e di starmi accanto come poteva. Mi ricordava di respirare a fondo, ma io ora ricordo lui più impacciato e impaurito che mai. Impotente di fronte ad un mistero così grandioso. Lui che una volta era un paracadutista e si lanciava da dietro le nuvole.
Ci vuole un ammirevole coraggio ed una doppia dose di avventatezza per scegliere un lavoro del genere. E lui le aveva entrambe. Come la passione per le due ruote e le corse sfrenate. Niente di rischioso, tutto regolare. Una vita monotona insomma.
Ma quello era un altro tipo di salto nel vuoto. Non avrebbe aperto lui il paracadute, non avrebbe deciso lui come dare gas. In quel momento era spettatore di una storia, di un’avventura. Di una donna, la sua. E lui era lì. Trepidante di emozioni, intento a scegliere quali manifestare e quali celare. Quei suoi occhi azzurri però comunicavano, incoscienti, più di quanto volessero ammettere.
Paura, ammirazione, tenerezza, amore, impotenza e fermezza. In ultimo però mi sembrava anche “coscientemente” fiero. Si, di sapere che ce l’avrei fatta, che avrei portato a termine quel compito, ed io mi sentivo ancora più in grado e traevo forza da quella sua fiducia.
Ad un certo punto crollò in un sonno profondo. Ad oggi, temo di aver ignorato quello che fu più probabilmente per lui, uno svenimento.

Le mie sensazioni durante il travaglio

Le contrazioni erano forti, toglievano il fiato, ma dovevo ricordarmi di respirare, era essenziale. Eppure in quei momenti ci si dimentica di quanto sia fondamentale e “naturale”. Mi risultava più facile trattenere il fiato. Ci volle un po’ di sforzo. Non solo per evitare di stramazzare al suolo cianotica, ma per accompagnare quell’atto ed aiutare il mio corpo ad avere l’energia necessaria. Ad ogni respiro, infatti, l’ossigeno sembrava curare i tessuti che prima si schiacciavano, sembravano contorcersi e dilatarsi; ed ogni passo che facevo pareva deviare e alleviare ogni dolore.

E’ assurdo poter scoprire quanti strati abbiamo nel corpo, eppure ogni donna, in quei momenti, li percepisce tutti.

Continuai così, facendo avanti e indietro dal balcone all’interno di casa. Non riuscivo a sedermi, né a stare sdraiata, il dolore era molto più gestibile in movimento, allora realizzai che ci aspettava un viaggio in macchina …e non avevo idea di come avrei potuto affrontarlo. Le spinte si fecero più forti.

L’onda del travaglio

Quando si legge di un travaglio, spesso si sente parlare di un’ “onda”, in relazione alle contrazioni. Credevo si intendesse il suo andare e venire. Mi accorsi in quel frangente che non avevo capito niente.

Quella stessa definizione era da associare più propriamente ad una forza. Al suo propagarsi, infrangersi, al suo divenire incessante, inarrestabile, incontrollabile. Un forza tale da sembrare un qualcosa di primordiale, profondo, naturale ed istintivo nel senso animale del termine. Allora e solo allora arrivarono lo stupore, il trasalimento, il dubbio ma anche l’eccitazione e l’ansia.

No. Non provavo paura. Non ancora almeno. Era tutto sopportabile. Ero talmente concentrata sull’aiutare mia figlia che continuo a chiedermi oggi come sia possibile, che una “cacasotto” come me, abbia avuto un travaglio bellissimo come l’ho avuto io.

L’ora di andare in ospedale

Mi decisi. Svegliai mio marito. Dovevamo andare in ospedale e avrei dovuto farlo fintanto che le contrazioni sarebbero state ancora gestibili.

E come raccontarli quei venti minuti, (con contrazioni ogni quarto d’ora) a passo d’uomo con l’osso sacro che sembrava volesse uscire fuori asse ?

Ricordo ancora il punto in cui ci dovemmo fermare per poi ripartire qualche secondo dopo.

La natura, mamme… è disarmante già di per sé…ma il travaglio, è qualcosa di magico. Trenta, quaranta, sessanta secondi di dolore indefinibile, di quelli che danno alla testa (come quando sbatti il mignolino del piede contro una parete)… ma come per magia, invece di restare lì a saltellare imprecando, riesci poco dopo a ballare sulle punte come fosse niente. Mi ripeto, è qualcosa di istintivo e primordiale.

Tornando a noi.

Poco prima di arrivare al pronto soccorso guardai fuori dal finestrino, come ero solita fare nei “lunghi” viaggi.

Non mi aspettavo che in quel momento avrei visto la più bella luna della mia vita. Era enorme, quasi al tramonto, come se si fosse resa più visibile per poterci salutare, un’ immensa palla di luce che illuminava il nostro cammino. In quel momento pensai “sto per diventare mamma“.

Continua al capitolo 5, Travaglio e parto

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4 commenti su “Diario della gravidanza di Anna. Capitolo quattro”

  1. Sei stata molto coraggiosa e forte a mamma, forse sapere di poter contare soltanto su di voi, durante la pandemia, ti ha permesso di affrontare il travaglio con grande forza!

    1. Grazie mami, non credo sia stato solo questo. Ma anche la determinazione, fede, dedizione e forza che ci avete sempre trasmesso tu e papà.

  2. Ciao Anna?
    Nella descrizione del tuo travaglio ho rivissuto il mio! Era impossibile anche solo immaginare di sedermi o sdraiarmi e così credo di aver fatto circa una sessantina di km in quel corridoio ospedaliero, facendo avanti e dietro ?
    Esperienza unica, irripetibile, magica❤️

    1. Qualche ostetrica durante il corso preparto disse ” il parto è movimento” … Nulla di più vero fu detto…
      Sono bellissime le tue parole…mi danno un immenso piacere e sollievo.
      Infine cos’è la condivisione se non un mezzo per sentirsi meno sole?
      Il senso di essenzAMamma è proprio questo…Ovvero, “se più mamme sapessero, meno si opporrebbero al dolore e tutto magari sarebbe più lieve e consapevole? Aiutiamoci. Tutte.”
      Grazie. Davvero. Grazie.

I commenti sono chiusi.

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