Diario della gravidanza di Marta. Capitolo due

Primo trimestre di gravidanza

Dopo quel fine settimana di scoperte, ritornammo in Germania, dove ci eravamo trasferiti per motivi personali e di lavoro. Dove ci eravamo conosciuti. Dove era iniziata la nostra incredibile e mi piace dire, anche un po’ pazza storia d’amore. Il primo trimestre di gravidanza si sa, è delicato, per cui mi imposi di stare più attenta possibile. All’epoca lavoravo nel reparto di chirurgia generale di un ospedale in provincia di Stoccarda. Continuare a svolgere il lavoro da infermiera era rischioso, per me e per il bambino che aspettavo, per cui andai subito in maternità. Ero incinta da un mese circa e il mio corpo era chiaramente identico a quello di 4/5 settimane prima, eppure sentivo che piano piano ogni parte di me si stava preparando per fare spazio ad un’altra vita.
Una sera, dopo la consueta e imperdibile video chiamata serale con i miei genitori, andai in bagno. Cercai di focalizzare il colore che vedevo sugli slip. Guardavo, ma non volevo vedere. Mi destai dal torpore e realizzai. Una macchia di sangue, di un rosso tenue. . . Mi sentivo sprofondare in un abisso di incredulità. Avevo la sensazione che il cervello volesse uscire fuori dalla testa. Lo sentivo come implodere dentro di me. Provavo a parlare, ma sentivo le grida della donna in me che già si sentiva madre, che non voleva e non poteva credere a ciò che vedeva. Non so come, ma riuscii ad attirare l’attenzione di Antonio. Avrei voluto chiudermi in un ostinato silenzio, ma c’era la necessità di spiegargli quello che stava accadendo e quello che poteva significare, nonostante mi rifiutassi con tutta me stessa di pensare ad alta voce. Lui mi guardava con fare impotente. Mi consigliò di chiamare la sola e unica persona che in quel momento avrebbe saputo senz’altro cosa fare.
Mia madre. Cinque parole: “vai subito in pronto soccorso”, mi disse.
Diagnosi: “ abortus imminens”.
Es tut mir sehr leid Frau Renzetti aber Sie könnten Ihren Sohn verlieren”.
Traduzione: Aborto imminente. “ Mi dispiace molto signora Renzetti ma lei potrebbe perdere il suo bambino.
Il vuoto …
La ginecologa rilevava la presenza di un ematoma sotto placentare, possibile causa del sanguinamento, con conseguente probabilità di aborto imminente. La diagnosi la spinse a ricoverarmi.

Il ricovero

Mi diedero una stanza. La più “fredda” in cui abbia mai dormito. Se ripenso a quei momenti, mi salgono ancora le lacrime agli occhi. Insieme ad Antonio mi avevano accompagnato le mie care amiche Maria e Carmela. Furono così premurose nei miei confronti, che anche oggi a distanza di cinque anni, non posso che ringraziarle infinitamente. Si preoccuparono di tornare nella vicina Sindelfingen in cui vivevamo e recuperare tutto l’occorrente per il mio ricovero in ospedale. Furono anche di supporto ad Antonio che in quel momento, poverino, era sopraffatto dalle emozioni. Era come smarrito e si sentiva impotente difronte a un evento così incontrollabile. Mi chiesero se avessi bisogno di qualcosa in particolare. L’unica che mi venne in mente fu il vecchio compagno di viaggio Ciccio. Chi era? O meglio, cosa era? Un pupazzo. Un incrocio tra un topo e un elefante che io chiamai con il soprannome di chi me lo aveva regalato. Il mio ineguagliabile cugino e anche amico di una vita, Giovanni. Quell’esserino inanimato di pezza, era l’unico bene materiale che si avvicinava alla mia vita passata e che aveva asciugato, inzuppandosi, molte tra le lacrime che avevo versato nella mia vita. Anche quella sera, anche all’età di 26 anni, mi strinsi a quel pupazzo e mi abbandonai ad un pianto disperato, che nessuno purtroppo avrebbe potuto consolare.

Pupazzo di pezza dell'infanzia

Mi svegliai con il turno della mattina il giorno seguente alle 6, quando le infermiere nello stesso ospedale in cui io lavoravo, facevano il giro letti.
Gli accertamenti continuavano: le ecografie, le analisi del sangue, e poi ancora, il monitoraggio delle Beta, la visita ginecologica… e mi sentivo sempre ripetere la stessa identica, fastidiosa e ridondante frase. “ Es tut mir sehr leid Frau Renzetti, aber …….. bla bla bla bla bla bla”.
Nessuna novità, nessuna buona notizia, nessun miglioramento.
L’ ematoma sotto placentare era ancora lì, fiero e spavaldo di aver preso posto in prima fila, in uno spettacolo in cui non era stato nemmeno invitato. Non solo, si era indebitamente appropriato del ruolo di protagonista. E cosa potevo fare io? Niente purtroppo. Dovevo solo aspettare e pregare.

Le dimissioni

Quattro giorni dopo mi dimisero. Tutti i dottori che mi avevano visitata davano quasi per certo che sarei andata incontro ad un aborto spontaneo, ma clinicamente parlando, loro avevano fatto il possibile perché questo non accadesse. Tornai a casa con il cuore infranto. Non posso negare che una parte di me si stesse aggrappando disperatamente ad una speranza. Ma ero terrorizzata.
Antonio sarebbe dovuto necessariamente tornare a lavoro, così come le mie amiche, ed io sarei rimasta nuovamente sola con il mio dolore, come lo ero stata in ospedale. Erano tutti così dolci, comprensivi e delicati, ma nessuno poteva comprendere pienamente quanto il mio cuore sanguinasse. Decidemmo, con non poche remore, di consultare un ginecologo in Italia. Sapevo di correre un rischio mettendomi su un aereo, da sola con quel puntino in difficoltà che portavo in grembo, ma la mamma che era in me, pregava di vederlo venire alla luce. Erano necessari ulteriori approfondimenti, per cui partii.

Il ritorno in Italia

SMS del 28.09.2016, 14:16

Io. – “siamo atterrati cuore”
Antonio. – “ già mi manchi da morire vita mia. Fammi sapere TUTTO”

Nei messaggi che gli inviai, parlavo già al plurale. Era come se il mio bambino fosse già con me e io ero già la sua mamma. Spiegai alla ginecologa dettagliatamente e minuziosamente i motivi per cui mi trovassi lì. In modo molto dolce e delicato, accoglieva ogni mia accorata spiegazione. Mi sdraiai sul lettino. Mi misi nella posizione che ormai conoscevo perfettamente.
Cominciò l’ecografia. Lei taceva, io fremevo. Lei sospirava, io trattenevo il fiato. Ricordo perfettamente ogni sua parola.
Mi guardò e senza battere ciglio mi disse: “ Marta io non so cosa abbia visto la collega in Germania, ma a livello ecografico, posso garantirti che si visualizza un embrione dotato di attività cardiaca della misura di 9,1 mm e totale assenza di questo ematoma sotto placentare”. Mi ci volle un bel po’ prima di interiorizzare a dovere le sue parole. “Ma come è possibile?” pensai rabbiosa e incredula. Fino a quattro giorni prima era lì, e ora puff, sparito. C’era una parte di me che esplodeva di gioia. La versione già mamma di me, quella tutta emozioni e poca razionalità. Ma l’altra, la donna scettica e distaccata che si faceva spazio tra le sensazioni positive, non riusciva a concepire che fosse tutto nella norma. Parlammo a lungo della possibili cause della diagnosi di aborto imminente ricevuta in Germania. Forse l’ematoma c’era stato veramente, ma si era poi riassorbito con la stessa velocità con la quale era comparso. Forse ma in modo quasi improbabile, era stato un errore della collega… forse, forse, forse. Non capii mai a livello scientifico cosa fosse realmente accaduto. Mi ricordai con commozione di quante volte Dio nella mia vita, mi avesse salvata. Beh Dio che nella mia vita si è manifestato in molti modi, forse, mi piace pensare, che l’abbia fatto anche in quella circostanza.

Coccole in gravidanza

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